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giovedì 2 ottobre 2014

Massiccia partecipazione anche al Pellegrinaggio in onore di San Pio X

Anche in Veneto e nel nord-est c'è tanta fame di liturgia tradizionale. Il Pellegrinaggio al Duomo di Castelfranco Veneto, ove fu ordinato sacerdote il grande Papa San Pio X, ha visto la partecipazione di centinaia di fedeli legati all'antico e venerabile Rito Romano. Insomma, nonostante le tante avversità che il "movimento tradizionale" sta affrontando, tra i cattolici militanti c'è tanta voglia di continuare a testimoniare in faccia al mondo la propria fedeltà alla Tradizione.

Ecco il resoconto del Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum e l'Omelia di Mons. Marco Agostini.




Alla presenza di numerosissimi fedeli commossi e partecipi, fra cui vogliamo ricordare il prof. Fabio Marino, Presidente Nazionale di Una Voce Italia, sabato 27 settembre, presso il Duomo di Castelfranco Veneto, mons. Marco Agostini, Cerimoniere Pontificio, ha cantato nella forma straordinaria del Rito Romano la S. Messa votiva di San Pio X. La cerimonia è stata promossa – su iniziativa del Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum e, in particolare, del suo promotore regionale per il Triveneto, avv. Cristiano Gobbi di Trieste – dai Coetus Fidelium del Veneto, del Friuli – Venezia Giulia e del Trentino – Alto Adige. Il Populus Summorum Pontificum di quelle regioni ha voluto così esprimere la propria devozione a San Pio X, in occasione delle celebrazioni del centenario del suo beato transito, nella basilica in cui fu ordinato sacerdote il 18 settembre 1858. Dei sentimenti dei fedeli è stato ottimo interprete mons. Agostini, che ha dedicato la sua toccante omelia – di cui Lo ringraziamo di averci fornito il testo, che pubblichiamo qui di seguito – all’esaltazione delle virtù sacerdotali, delle quali San Pio X – come sacerdote, come Vescovo e, infine, come Sommo Pontefice – diede un esempio mirabile, ed al cui incremento dedicò intensamente la Sua attività pastorale.

La S. Messa dello scorso sabato ha segnato anche un importante momento per tutti quanti vivono la loro fede al ritmo della liturgia tradizionale, dando concreta e visibile dimostrazione della fraterna unità che unisce tanti fedeli di innumerevoli parrocchie, sparse in tutte le diocesi del Triveneto, e non solo. Il servizio all’altare è stato assicurato da ministranti provenienti da diversi  Coetus della zona, coordinati da Nicolò Calore di Padova. I canti gregoriani sono stati eseguiti da Massimo Bisson, Fabrizio Mason, Nicolò Pasello e Gian-Luca Zoccatelli.

L’evento di Castelfranco Veneto, che è frutto della compattezza e della perseveranza di tutto il Populus Summorum Pontificum, rappresenta così un felice preludio del grande pellegrinaggio internazionale che, per il terzo anno consecutivo, si terrà a Roma e a Norcia dal 23 al 26 ottobre prossimi, culminando nella S. Messa Pontificale che il card. Raymond Leo Burke celebrerà sabato 25 ottobre, alle h. 12,00, all’altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro. È dunque a Roma che i fedeli del Triveneto si sono dati appuntamento per manifestare ancora una volta, e proprio sulla tomba dell’Apostolo, insieme a tanti fratelli nella fede provenienti da ogni parte della cattolicità, il loro indefettibile amore per la liturgia tradizionale e per la Chiesa.



Omelia di Mons. Marco Agostini


Sia lodato Gesù Cristo! Il 18 settembre 1858 S.E. Mons. Giovanni Antonio Farina, Vescovo di Treviso, in questo storico Duomo di Castelfranco, ordinava sacerdote il diacono Giuseppe Sarto. Cinquanta anni dopo il cardinale Aristide Cavallari – succeduto immediatamente sul trono di San Marco all’indomani dell’esaltazione di papa Sarto al trono di San Pietro – esortava Venezia al giubileo del Pontefice con queste parole: “Allorquando 50 anni or sono Egli novello levita saliva trepidante l’altare per immolarvi la prima volta l’Ostia di pace, era ben lontano dall’immaginare a quali gloriosi destini Lo riserbava il Cielo. Eppure era in quel momento che Dio deponeva nel Suo giovane cuore quel germe potente di grazia che mano mano svolgendosi nella sua vita di sacerdote, di parroco, di Vescovo doveva condurlo con meraviglioso disegno di Provvidenza fino al sublime fastigio della Cattedra di Pietro”[1].

Del germe potente della grazia, del dulce pondus del sacerdozio, che dal 18 settembre 1858 agì nel cuore, e gravò sulle sue spalle, Pio X parla nell’esortazione apostolica Haerent Animo del 4 agosto 1908[2] indirizzata ai sacerdoti, “ferventi o meno” (n. 1), per il suo giubileo sacerdotale. Un appassionato invito a ricordare che l’avvenire della Chiesa passava, ieri come oggi, dalla qualità degli Ecclesiastici: “Ove è un sacerdote veramente buono, quale tesoro è veramente elargito dal cielo” (n. 2).

Per esperienza Papa Sarto sapeva che la santità della vita, più ancora di quella delle parole, era la prima dote necessaria alla dignità sacerdotale: “L’ufficio sacerdotale è di rappresentare la persona di Cristo e di condurre la missione da lui affidata in maniera che sia dato di raggiungere il fine, che Egli ha di mira” (n. 3). Soprattutto nella celebrazione “dell’augusto sacrificio” della Messa “occorre avere la medesima disposizione d’animo, con la quale Egli [Gesù] sull’ara della croce si offrì ostia immacolata a Dio” (n. 4). Gli sovvenivano i ricordi degli anni del Seminario dove aveva appreso le regole della vita sacerdotale e della buona creanza che formarono il suo tratto fermo, gentile ed educato. Aspetti forse oggi tenuti in poco conto. Lì imparò a formarsi come uomo buono, per essere buon sacerdote e santo. Affermava: “A tal fine furono istituiti i Seminari: dove, se coloro che costituiscono le speranze della Chiesa devono essere educati nelle lettere e nelle scienze, nello stesso tempo tuttavia, e più ancora lo devono essere sin dai più teneri anni ad una sincera pietà verso Dio”. Rivedeva le “tappe gioconde” del suddiaconato, del diaconato, del sacerdozio che lo portarono nel Sacerdozio a “essere un cielo tersissimo” (n. 7) nel quale nessuna nube impediva il fulgore della santità di Dio. Vedeva che la santità del sacerdote non stava “semplicemente nel sacrificarsi tutto al bene degli altri”, esercitando le virtù attive, ma si costruiva soprattutto sul fondamento posto da Cristo, ossia l’esercizio delle virtù passive, quelle che conseguono la perfezione individuale (n. 8). Sono esse la conditio sine qua non per la santità del sacerdote, l’abnegazione di sé, la mortificazione che il mondo disprezza e che, anche allora, alcuni sacerdoti mostravano di non apprezzare. Vedeva la fecondità sacerdotale scaturire non dallo sposare le mode e i metodi del mondo – “L’agire a solo scopo di … lucro, l’ingolfarsi negli affari mondani, l’aspirare ai primi gradi e sprezzare i più modesti, il condiscendere alla carne e al sangue…, il soverchio studio di piacere agli uomini, il porre la fiducia del proprio successo nell’umana destrezza della parola” – ma dall’accoglienza del precetto di Cristo: “Chi vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso” (Mt 16,24) (n. 9). L’abnegazione di sé e la vita interiore lo temprarono sacerdote, piegato ai doveri del ministero apostolico. E così nella sua azione pastorale si preoccupò di: “Svellere le male erbe, seminare quelle buone e fruttifere, innaffiare, badar bene che il nemico non vi semini fra mezzo la zizzania” attraverso “La predicazione della parola di Dio, l’ascoltare le confessioni, l’assistere gli infermi e specialmente i moribondi, l’istruire gl’ignoranti nelle cose di fede, consolare gli afflitti, ricondurre i fuorviati, imitare in ogni cosa Cristo, ‘il quale passò la sua vita facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo’ (At 10,38)” (n. 10). La vera cura animarum sta nella santità della vita e dei costumi e nell’unione con Dio: così il sacerdote trasmette “il buon profumo di Cristo” al gregge. Il sacerdote non è che uno strumento del quale Dio si serve (11): questa è la scienza che canonizzò nel Santo Curato d’Ars (n. 12).

            San Pio X nutrì la propria santità sacerdotale d’incessante preghiera per sé e per il popolo (n. 14), di meditazione (n. 15) che custodisce il fervore e preserva dalle insidie del mondo (n. 16). “La vita di quei sacerdoti, che fanno poco conto della meditazione delle cose divine … tu vedi in loro illanguidito l’inestimabile tesoro, mondani, seguaci di vanità, che s’intrattengono in frivolezze, che s’accostano alle sacre cose tiepidi, gelidi e forse indegni” (n. 17). La meditazione è il segreto per operare con criterio e zelo (n. 20): chi è alter Christus ha da meditare su Cristo (n. 21). Il sacerdote ha da attendere alla lettura spirituale delle Sacre Scritture (n. 22) e dei libri santi (n. 23). Osservava: “Invece di sovente accade ai nostri tempi che ecclesiastici si lascino a poco a poco annebbiare la mente dalle tenebre del dubbio e seguano le oblique vie del mondo” illusi dal modernismo, la più mortifera delle eresie (aveva scritto nell’enciclica Pascendi) “dal pretesto di conoscere il male e così poter meglio provvedere al bene comune” (n. 24). Il sacerdote, come ogni fedele, ma più di essi, deve sottoporsi ogni giorno all’esame di coscienza (n. 25) che, fatto rinvigorisce l’anima e tralasciato la mette in pericolo (n. 27), esame di coscienza che dispone a ricevere la grazia sacramentale della Confessione (n. 28). In ogni tempo il sacerdote deve splendere nella virtù (n. 30), nell’obbedienza al Vescovo e alla Sede Apostolica (n. 31), nella carità senza limiti per tutti (n. 31), carità d’intelligenza, di cuore e di atti forte nelle persecuzioni (n. 33).

Forgiatosi così come prete, non mutò da vescovo e tale rimase nel Supremo Pontificato. Il suo motto fu: “Instaurare omnia in Christo”. Scriveva il patriarca Cavallari: “Che cosa voleva Egli dire con questo? Voleva dire che fin dall’esordire del suo Pontificato Egli aveva visto a colpo d’occhio tutti i mali da cui era afflitta la cristiana società e per l’amore che fin d’allora lo legava alle anime nostre si proponeva di mettervi ad ogni costo riparo. Fu il suo programma che in mezzo a innumerevoli e gravissime difficoltà si studiò di attuare. Con quale fortezza d’animo non si adoprò a mantenere incorrotta in tutti i cuori la fede! Come vigilò fermo e attento a rinsaldare nel clero la disciplina, nel laicato la sottomissione, il fervore della pietà nelle anime. Il demonio indispettito dalla sua opera Gli mosse guerra da ogni parte”. Prima l’attacco all’azione cattolica, poi le leggi anticlericali della Francia, poi “Anime piene di orgoglio sorgono a spargere inique dottrine che scompigliano le menti, che strappano la fede dai cuori, che impugnano ogni dogma, che calpestano ogni autorità”. Provvide “Al bene delle anime affidandole a saggi e dotti pastori, volendo da per tutto istruiti e zelanti sacerdoti”[3] (Lettera, pp. 6-8).

È commovente ricordare che la sua avventura sacerdotale ebbe inizio proprio in questa bella chiesa. Innanzi alla santità solenne di Pio X, a quella grande eppur ordinaria e nascosta di patriarchi e vescovi come il Cavallari, d’innumerevoli sacerdoti tempratisi alla loro scuola, eleviamo l’accorata preghiera: “Signore donaci ancora santi sacerdoti perché pure noi possiamo diventare santi”. Il Signore, ci conforti ancora con le parole del profeta: “Et dabo vobis pastores iuxta cor meum, et pascent vos scientia et doctrina” (Geremia 3,15). Sia lodato Gesù Cristo!


[1] Giubileo Sacerdotale di S.S. Pio X. Lettera dell’Eminentissimo Cardinale Aristide Cavallari Patriarca di Venezia, Tipografia Patriarcale già Cordella, Venezia 1908, p. 4.

[2] Pii X Pontificis Maximi, Acta, IV, Roma 1914, pp. 237264.

[3] Op. cit., pp.6-8.