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martedì 21 gennaio 2025

Quei rivoluzionari che ascoltarono la predica di un sacerdote zelante

[Brano tratto da “Tesoro di racconti istruttivi ed edificanti”, di Don Antonio Zaccaria, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1887].

Volgevano per la Francia i giorni del terrore e del sangue all’epoca della famosa rivoluzione. I fedeli che non avevano voluto sacrificare la loro coscienza, si ingegnavano di compiere in segreto i doveri di religione, ed accorrevano in quei luoghi, ove sapevano che stava nascosto un qualche sacerdote per essere da esso istruiti ed animati colla divina parola, e rinforzati coi Sacramenti. Erano costretti però a stare sempre in trepidazione ed angoscia, perché se venivano scoperti dai rivoluzionari erano arrestati, e condotti dinanzi ai tribunali come fanatici, erano condannati alla ghigliottina. In uno di quei giorni ferali uno zelante e coraggioso curato, l'abate Roche, al quale non bastava il cuore di lasciare l'amabile suo gregge in balia dei lupi, aveva nascostamente raccolto in una casa di campagna, presso Besanzone, un buon numero di fedeli, per predicare loro la divina parola, e celebrare i divini misteri. Era appena cominciata la predica, quando improvvisamente si seppe che veniva alla volta della casa una squadra di sicari armati di tutto punto. Si può immaginare il terrore che a tale notizia si diffuse fra quei buoni fedeli colà radunati, che già si aspettavano di dover espiare con una barbara morte la loro religiosa pietà. Gli occhi di tutti stavano rivolti con ansietà al predicatore, e non si aspettava da lui, che il segnale per darsi a precipitosa fuga. Se non che il curato fatto accorto del pericolo, e vedendo difficile lo scampo, voltosi con fermo viso ai suoi uditori: - Coraggio, esclama, e confidenza nel Signore! Stiamo tutti saldi ai nostri posti senza interrompere la sacra funzione. I persecutori di Cristo e della Chiesa siano testimoni dei nostri discorsi e delle nostre operazioni, e se non vogliono imparare a vivere anche essi da cristiani, imparino almeno come i cristiani sanno patire e morire! Queste parole pronunciate con imperturbabile sicurezza tranquillarono gli animi di tutti. Niuno si mosse, e il generoso sacerdote continuò con voce ferma la predica. Intanto sopraggiungono i satelliti, circondano la casa, spiano per ogni angolo, da ultimo penetrano nella sala dell'adunanza. Al trovar tanta gente silenziosa e raccolta, tendono bramosamente le orecchie per udire i discorsi fanatici senza dubbio e sediziosi (come credevano) che ad essi rivolgeva quel prete, cui stava intenta ad ascoltare. Il sacerdote predicava la pazienza, la rassegnazione ai divini voleri, la fedeltà alle promesse del battesimo, il perdono delle ingiurie, l'amore ai persecutori, la felicità di morir per Cristo e per la Chiesa. Le sue parole sono ravvalorate da una sovrumana virtù, e i sicari ne restano colpiti in modo straordinario. Depongono le armi, entrano riverenti, si frammischiano ai fedeli, e ascoltano devoti e compunti tutta la predica. Assistono poscia al Santo Sacrificio, e adorano la vittima divina immolata per i peccati del mondo. Tutti rinnovano le promesse del Battesimo, propongono di soffrire ogni cosa piuttosto che tradire la loro fede; e il capo di essi fattosi interprete dei voti dei suoi compagni, giura di mantenere quella stessa fede sino alla morte. Così quei lupi feroci si partirono di là tramutati in agnelli mansueti, pronti a lasciarsi scannare per amore del loro Dio.

Pensiero del giorno

I mondani non intendono il linguaggio di Gesù; per loro la vita è unicamente piacere e la loro preoccupazione è tenere lontano tutto ciò che richiede sacrificio.

[Brano tratto da "Mese al Sacro Cuore di Gesù" di Don Giuseppe Tomaselli].

lunedì 20 gennaio 2025

Fariseismo in salsa modernista

Gesù, essendo uomo-Dio, è la persona più buona e misericordiosa che sia vissuta sulla Terra. Ma verso i farisei utilizzò giustamente parole dure e severe definendoli ipocriti, razza di vipere e sepolcri imbiancati. Esternamente sembravano persone osservanti della Legge di Dio, ma in realtà avevano il cuore marcio.

Quando sento parlare dei farisei mi vengono in mente i modernisti, i quali sono di un'ipocrisia stomachevole. Parlano di pace, misericordia e fratellanza, sembrando apparentemente osservanti del Vangelo, ma in realtà odiano e perseguitano ferocemente i cattolici fedeli al Magistero perenne della Chiesa.

Ad esempio noi abbiamo "ricordato" ai modernisti che Gesù nel Vangelo ha detto che chi ripudia il proprio coniuge e ne prende un altro commette adulterio, ma loro, invece di ammettere che è sbagliato fare dei compromessi al ribasso su questo tema, ci hanno ingiustamente calunniato e perseguitato. E questa sarebbe la loro fratellanza? E con che faccia parlano di pace se poi si accaniscono spietatamente contro coloro che gli ricordano quel che la Chiesa ha sempre insegnato in venti secoli di storia? Ma ai "farisei del terzo millennio" non importa la coerenza, a loro interessa ricevere gli applausi del mondo. Ma nel Giorno del Giudizio vedremo se i modernisti avranno ancora voglia di scalpitare dal desiderio di ricevere gli applausi dei mondani.

Sofferenza per la morte di un figlio

Dagli scritti di Don Antonio Zaccaria.

Un giovane dotato d'un carattere eccellente e di una dolcezza incantevole fu dai suoi parenti inviato ad una casa di educazione per perfezionarsi nelle scienze, secondo quello che esigeva la sua condizione. Nel sesto mese del suo soggiorno in questo collegio una malattia fierissima lo condusse agli estremi. I suoi genitori, avvisati subito di tanta disgrazia, si misero in viaggio senza ritardo. Il primo ad arrivare fu il padre, che corse subito al letto del figliuolo, e lo trovò così male che s'avvide che l'avrebbe perduto: infatti il giorno dopo era morto. Bisognava pertanto dar questa notizia alla sua madre, che arrivata di fresco faceva istanza per essere condotta al letto del suo Gustavo. Due sacerdoti furono incaricati della dolorosa missione. Dopo averla disposta alla meglio, Madama, dissero, bisogna che voi facciate un atto di sottomissione alla divina volontà. Mio Dio, esclamò la madre, ho inteso tutto: Gustavo è morto! ahimè Gustavo mio! mio caro Gustavo!... Madama, soggiunsero i due preti, ci siamo dimenticati di dirvi che a voi resta un oggetto di consolazione, il crocifisso di Gustavo!... Oh! il crocifisso del mio caro figliuolo! che mi si porti subito. Quando la pia dama lo ebbe nelle sue mani, lo strinse al cuore, baciò commossa la piaga del S. Cuore di Gesù, e la bagnò di lacrime. Da tanto dolore si sentì subito sollevata e piena di un santo conforto esclamò: Il Crocifisso sarà da qui avanti unico oggetto del mio amore; niente più potrà attaccarmi alla terra; il Crocifisso sarà il mio conforto; Egli saprà ricompensarmi della perdita del mio figliuolo. Pensiamo noi pure bene spesso ai dolori che Gesù ha sofferto per noi, e nella piaga del suo S. Cuore troveremo coraggio e forza a portare la croce che Egli ci vorrà dare.

[Brano tratto da "Il Cuor di Gesù - Mese di Giugno", di Don Antonio Zaccaria, parroco in Faenza, stampato nell’anno 1902].

Pensiero del giorno

Si narra nelle vite de' padri antichi, che un certo romito camminando per divin favore con un angelo che lo accompagnava, incontrarono per la via un cane fracido che molto puzzava; ma l'angelo non diede alcun segno di dispiacenza di quel fetore. Incontrarono poi un giovane tutto abbigliato e fragrante di odori, e l'angelo si otturò le narici. Interrogato poi del perché dal romito, rispose, che quel giovane per lo vizio che teneva d'impudicizia mandava molto maggiore puzza che quel cane fracido.


(Brano tratto dagli scritti di Sant'Alfonso Maria de Liguori).

domenica 19 gennaio 2025

Audiolibro mp3 "Il mio ideale" di Padre Emilio Neubert

Uno dei libri mariani più belli è "Il mio ideale" di Padre Emilio Neubert (1878 - 1967), che in Italia venne pubblicato nel 1935. Per chi non ha tempo di leggere, conviene ascoltare l'audiolibro mentre si fanno altre attività compatibili con l'ascolto (guidare l'auto, cucinare, stirare i panni, lavare i piatti, camminare per strada con gli auricolari, ecc.).

La lettura di questo libro è andata in onda su "Radio Buon Consiglio", una delle migliori emittenti religiose in Italia.

Ecco l'elenco dei file mp3 da scaricare:

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Intimità divina

Dagli scritti di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena (1893 - 1953).


Concedimi, o Signore, piena e stabile intimità con te, affinché possa amarti sempre di più. 

1 - L’anima comincia ad entrare nel cammino dell’intimità divina il giorno in cui, decidendo risolutamente di uscire da se stessa e da tutte le cose, si pone con ardore alla ricerca di Dio vivo e presente in lei. Da questo primo passo all’intimità profonda, che stringerà a Dio l’anima giunta all’unione totale, il cammino è lungo e faticoso. Progressivamente, a misura che, sostenuta dalla grazia, l’anima si distacca da se stessa e dalle creature, a misura che si libera delle sue imperfezioni, che si spoglia della sua volontà rivestendosi solo della volontà divina e che, lasciando divampare in lei l’amore, si avvia «alla dolce e dilettevole unione» (GC. N. II, 16, 14), la sua intimità con Dio si fa più intensa ed amorosa, finché, pervenuta alle vette dell’amore trasformante, diventa continua e perfetta, diventa abbraccio divino che stringe la creatura al Creatore. Allora la grande promessa di Gesù: «se uno mi ama... il Padre mio l’amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (Gv. 14, 23), si realizza nel modo più perfetto possibile sulla terra. 

«Non è da ritenersi per cosa incredibile - afferma S. Giovanni della Croce - che in un’anima già purgata, provata nel fuoco delle tribolazioni, dei travagli e di varie tentazioni, e trovata fedele nell’amore, si adempiano quaggiù quelle parole con cui il Figlio di Dio promise che, se alcuno lo amasse, la SS.ma Trinità verrebbe a lui a farvi stabile dimora: ossia illuminandole divinamente l’intelletto nella sapienza del Figlio, dilettandone la volontà nello Spirito Santo, e assorbendola il Padre possentemente nell’abisso della sua dolcezza» (F. 1, 15). Nei momenti più alti dell’unione trasformante, l’anima avverte Dio vivo, presente ed operante in lei, avverte il suo dolcissimo abbraccio paterno che la regge, avverte lo splendore della sua Sapienza che la illumina, avverte il divino fiammeggiare del suo Amore che tutta la penetra. Ma anche quando il senso della presenza e dell’azione divina in lei non è così forte e beatificante, l’anima è consapevole di essere profondamente unita a Dio, da lui mossa e governata: «Sento che [Gesù] è in me, ad ogni istante mi guida e m’ispira quel che devo dire o fare», attesta S. Teresa di G. B. (St. p. 221). L’umile Santa, pur non avendo conosciuto le grandi grazie mistiche, è arrivata anche lei, non meno della sua grande madre, Teresa di Gesù, a quella intimità profonda con Dio che l’anima gode nello stato di unione totale. 

2 - L’intimità divina, soprattutto nei suoi gradi più alti, è per se stessa quanto mai gaudiosa e beatificante; tuttavia l’anima innamorata non anela a questa intimità per godere, bensì per amare sempre di più il suo Dio, per essere a lui totalmente unita, da lui tutta posseduta, mossa e governata, onde servirlo sempre meglio e dargli gloria in ogni sua azione. S. Teresa d’Avila dice espressamente che lo scopo per cui il Signore si comunica alle anime e fa loro tante grazie - anche i più alti favori mistici - non è soltanto di «accarezzarle», ossia di consolarle, ma «di fortificare la loro debolezza onde sappiano imitare [Gesù] nel molto patire», e aggiunge con il suo abituale entusiasmo: «Questo è il fine dell’orazione; a questo tende il matrimonio spirituale: a produrre opere ed opere» (M.VII, 4, 4 e 6). 

La dolcezza e il gaudio dell’intimità con Dio, hanno lo scopo di rendere l’anima più coraggiosa nel servizio divino, più generosa nel dono di sé, più forte nel portare la croce. Sì, finché siamo quaggiù la sofferenza non può mai mancare e non manca neppure in mezzo alle delizie dell’unione divina, perché dobbiamo conformarci a Gesù crocifisso, dobbiamo seguirlo sulla via del Calvario fino alla completa immolazione con lui per la gloria del Padre e la salvezza dei fratelli. Le opere che l’unione con Dio deve produrre sono appunto le opere dell’amore, è l’attività intensa dell’amore puro, mediante la quale l’anima si dona incessantemente a Dio, desiderosa di trascinare con sé uno stuolo immenso di altre anime. Così, dall’intimità divina, dall’unione totale col Signore, dall’amore puro sgorga spontaneo l’apostolato più fecondo. «La gloria delle anime [giunte al matrimonio spirituale] - afferma l’ardente Teresa di Gesù - è nel poter aiutare il loro Dio crocifisso, specialmente quando vedono fino a che punto sia Egli offeso e come pochi cerchino davvero il suo onore, trascurando tutto il resto» (M. VII, 3, 6). 

Affatto dimentica di sé, l’anima amante non pensa né al suo godere, né al suo patire, ma pensa solo ad amare ed a servire il suo Dio, pensa solo a contribuire quanto più può alla sua gloria, associandosi all’opera redentrice di Gesù. E se anela ad un’unione con Dio sempre più intima e perfetta, sia oggi sulla terra come domani nel cielo, è per amare con la massima intensità, è per far amare l’Amore dal maggior numero possibile di anime. 


[Scritto tratto da “Intimità Divina”, di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena, pubblicato dal Monastero S. Giuseppe delle Carmelitane Scalze di Roma, imprimatur: Vicetiae, 4 martii 1967, + C. Fanton, Ep.us Aux.].


(.)

Pensiero del giorno

Si ricordi di essere sempre, con tutti, in ogni circostanza, un angelo ed un apostolo. Nelle parole, nei modi, nel tratto, in casa e fuori, dovunque, dia sempre buon esempio e diffonda il profumo della pietà, l’olezzo della virtù.


(Brano tratto dagli scritti di Padre Felice Maria Cappello, 1879-1962).

sabato 18 gennaio 2025

Modernisti e luterani

Tra le fila del movimento modernista ci sono alcuni che sostengono che i cattolici dovrebbero limitare la devozione alla Madonna per facilitare il dialogo con i luterani e altri gruppi protestanti.

Io invece penso che sarebbe un grave errore soffocare tra i fedeli la devozione mariana per compiacere chicchessia. Infatti la Beata Vergine Maria è la Mediatrice universale di tutte le grazie che Dio dona al genere umano, come insegna il Magistero perenne della Chiesa. Pertanto, chi non è devoto alla Madonna, è come se chiudesse il canale delle grazie che il Signore desidera donargli.

San Massimiliano Maria Kolbe fece un gran bene alle anime diffondendo il più possibile la devozione all'Immacolata. Se si vuole conquistare il mondo a Cristo bisogna rilanciare la devozione alla nostra Mamma del Cielo. Allora sì che otterremmo innumerevoli grazie, magari anche la conversione dei luterani!

Santo Sacrificio della Messa

Ripubblico un breve messaggio che mi scrisse Maristella.

Caro fratello in Cristo, 
Come stai? Noi bene, ringraziando Dio. Vorrei proprio ringraziare quel buon sacerdote che sostiene il blog e che ogni mese celebra una Santa Messa per noi e i nostri parenti! Pregherò per lui e per tutti noi. Dovremmo proprio ricordare di far celebrare tante Messe: per i vivi e per i morti. Ora si possono richiedere anche via internet, facendo donazioni online. Oppure, come faccio io, chiedendo direttamente ai sacerdoti. Tante Messe salvano le anime e il mondo; non dimentichiamolo mai! 

Uniti nella preghiera 
Nei Cuori Immacolati 
Maristella 

P. S. Tra poco andrò a coricarmi: prima il Rosario e poi, a Dio piacendo, un buon sonno riposante! Buona notte

Pensiero del giorno

Se taluno desiderasse, o si compiacesse del male temporale di qualche peccatore ostinato, affinché si ravvedesse, e lasciasse di dare scandalo, o di vessare gli innocenti, costui non peccherebbe.


(Pensiero di Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa)

venerdì 17 gennaio 2025

Adorazione Eucaristica Perpetua

Una mia amica, della quale ho pubblicato sul blog diversi post firmati col suo pseudonimo "Riesina", mi ha gentilmente segnalato che a Vicenza alcuni cattolici stanno tentando di dar vita all'adorazione Eucaristica perpetua col beneplacito del Vescovo e del parroco della Basilica di San Felice, che si sono già detti entrambi favorevoli. Per far ciò c'è bisogno di un gran numero di adoratori che a turno rimangano vicino a Gesù sacramentato.

Allo scopo di agevolare l'organizzazione, in accordo col Parroco di San Felice, la chiesa prescelta, si pensa di iniziare momentaneamente con la sola fascia oraria diurna, esponendo il Santissimo Sacramento dalle 9 di mattina alle ore 19.

Per maggiori informazioni è possibile contattare gli organizzatori ai seguenti numeri: 392 2936305 oppure 349 5287266.

La massoneria vuole distruggere la Religione

[Dagli scritti della Beata Maria Deluil-Martiny]

Di fronte alla Chiesa di Cristo si erge quasi svelata, resa ardita dalle sventure dei tempi, l'infernale chiesa di Satana, che per lungo tempo ha ordito le sue congiure nell'ombra e ha coperto col segreto più profondo i suoi abominevoli errori, i suoi ignobili misteri e i suoi odiosi disegni. Essa cerca pazzamente di annientare i diritti di Dio in questo mondo, di rovesciare la Chiesa e ogni base dell'ordine sociale cristiano; di esaltare la pretesa perfezione naturale dell'uomo e la sua indipendenza da Dio, la distruzione di ogni autorità, il dominio della materia, del disordine, dell'empietà; infine la negazione stessa di Dio: né Dio, né padrone! Ecco, care Sorelle, il riassunto delle dottrine di questa scuola infernale.

E se volete conoscere la causa di questi fatti dolorosi e strani, la santa Chiesa stessa vi risponde con la voce di Pio IX: "Colui che avrà ben compreso il carattere, le tendenze, lo scopo delle sette segrete, massoniche o altre, la natura e lo svolgimento della lotta universale dichiarata alla Chiesa, non potrà mettere in dubbio che la presente calamità va attribuita principalmente, come propria causa, alle astuzie e alle macchinazioni delle medesime, di cui la sinagoga di Satana è composta».

Causa agente di questo male immenso sono dunque specialmente le Società Segrete, la cui diffusione è diventata prodigiosa, e che, in un modo o nell'altro, sembrano far capo alla massoneria; e a questo male si dà, sia pure con interpretazioni diverse, il nome di Rivoluzione sociale e religiosa.

E notate bene, care Sorelle, che qui non si tratta di politica; la politica è una maschera per le sette; esse accettano qualsiasi forma di governo, purché possano guidarlo, corromperlo e raggiungere per suo mezzo il loro scopo infernale. Stolta ed empia utopia! Hanno persino creduto, dicono, dimenticando l'intervento divino e le promesse fatte da Gesù Cristo alla sua Chiesa, di poter un giorno metter le mani sul Papato e collocare uno dei loro sulla cattedra di Pietro per rendere la rivoluzione padrona del mondo, e sostituire il regno di Gesù Cristo con quello di Satana.

Questi infami disegni sono costantemente sventati dall'assistenza soprannaturale che Dio dà alla sua Chiesa. Governare le anime per il trionfo del male, tale è lo scopo delle sette segrete. La Chiesa sola ha il diritto e il potere di governarle per condurle a Dio, la setta invece si sforza di compiere il disegno di Satana e dell'uomo insieme uniti nella ribellione a Dio.

Il disegno infernale, che è l'attuazione della dottrina della massoneria, sostituisce i pretesi diritti dell'uomo ai diritti e alla legge di Dio, e, sconvolgendo ogni principio di ordine, pone l'uomo fine a se stesso. E' l'empia e satanica apoteosi dell'umanità, ossia l'uomo sacrilegamente messo al posto di Dio. Persino l'idea religiosa deve scomparire; tutto diventa umano, cioè indipendente dalla legge divina e da ogni fine soprannaturale, l'organizzazione, il potere, i mezzi e lo scopo.

La ragione ribelle e una falsa scienza soppiantano la fede e la verità; l'idea, impropriamente chiamata laica, e che si dovrebbe invece chiamare satanica, è sostituita all'idea religiosa.

La setta segreta assale, insegue e vuol distruggere insieme la religione, la morale, la famiglia, la proprietà, l'educazione cristiana, ogni onesto governo, la vera libertà ed infine il Papato, che essa considera come il centro e la garanzia di tutte queste grandi cose che costituiscono la società, e che le fanno da base. La setta mira a tutto distruggere per arrivare a ciò che essa chiama lo stato di natura, che è in realtà l'anarchia, la forza selvaggia, la barbarie; non più culto a Dio, ma l'autoadorazione dell'uomo; non più doveri, ma egoismo sfrenato e la soddisfazione degli istinti più mostruosi, con qualsiasi mezzo.

Pensiero del giorno

[...] in nessun tempo la dissolutezza e la frivolezza hanno straripato come nel nostro tempo.


[Cardinale Alfredo Ottaviani, "Il baluardo", casa editrice Ares, 1961]

giovedì 16 gennaio 2025

Dio trae del bene anche da avvenimenti spiacevoli

Si rimane ammirati nel vedere come Dio sappia sapientemente trarre dal bene anche da cose che, umanamente parlando, provocano dispiaceri e sofferenze. Per esempio Don Bosco, quando era un giovane prete, cominciò a fare apostolato tra i fanciulli quando vide un sacrestano picchiare ingiustamente un povero ragazzo. Dio si servì di quell’atto contrario alla carità di quel sacrestano per far iniziare a San Giovanni Bosco la sua missione sacerdotale tra i ragazzi. A tal proposito riporto alcuni brani tratti dal secondo volume delle “Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco” raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne e pubblicate nel 1901.

Era l'8 dicembre del 1841, festa solenne dell'Immacolata Concezione dell'Augusta Madre di Dio.

D. Bosco, all'ora stabilita, nella sagrestia di S. Francesco d'Assisi stava in procinto di vestirsi dei sacri paramenti per celebrare la S. Messa. Attendeva che qualcheduno venisse a servirgliela. In mezzo alla sagrestia, volgendosi da una parte e dall'altra, stava un giovane dai 14 ai 15 anni, le cui vestimenta non troppo pulite e la sguaiata andatura davano a conoscere come non appartenesse a famiglia signorile né agiata. In piedi, col cappello in mano, guardava gli arredi sacri con volto attonito come uno che rare volte avesse vedute tali cose. Quand'ecco il sagrestano, certo Giuseppe Comotti, uomo di cattivo garbo e montanaro, gli si accostò e bruscamente gli disse: - Che fai tu qui? Non vedi che sei d'impaccio alla gente? Presto, muoviti a servire Messa a quel prete.

Il giovanetto nell'udire tali parole restò come stordito, e, tremebondo per paura all'austero cipiglio del sagrestano, balbettando frasi sconnesse rispose

- Non so: non son capace.

- Vieni - replicò l'altro - voglio che tu serva Messa.

- Non so - riprese il giovanetto ancor più mortificato - non l'ho mai servita.

- Come, come! - gridò il sagrestano - non sai?

E scaraventandogli un calcio proseguiva.

- Bestione che sei: se non sai servir Messa, perché vieni in sagrestia? Vattene subito. - Ma, non essendosi mosso il giovane per lo sbalordimento, in men che non si dica diede di piglio allo spolverino e giù colpi sulle spalle del poveretto, mentre questi cercava di fuggire:

- Che fate? - gridò D. Bosco commosso e ad alta voce al sagrestano. - Perché battete quel giovanetto in cotal guisa? Che cosa vi ha fatto? - Ma il sagrestano tutto infuriato non gli dava ascolto. Il giovane intanto, vedendosi a mal partito e non conoscendo qual fosse l'uscio che metteva in chiesa, erasi cacciato nella porta che metteva nel piccolo coro, inseguito dall'altro.

Qui, non trovando nessuna uscita, ritornò in sagrestia, e, finalmente trovato scampo, se la diede a gambe in piazza.

D. Bosco chiamò per la seconda volta il sagrestano e con viso alquanto severo gli chiese: - Per qual motivo avete battuto quel giovinetto? Che cosa ha fatto di male da trattarlo in tal modo?

- Perché viene in sagrestia, se non sa servir Messa?

- Comunque sia, voi avete fatto male.

- A lei che ne importa?

- M'importa assai: è un mio caro amico.

- Come? - esclamò il sagrestano meravigliato. - Suo amico quel bel soggetto?

- Certamente: tutti i perseguitati sono i miei più cari amici. Voi avete battuto uno che è conosciuto dai Superiori. Andate a chiamarlo sull'istante, perché ho bisogno di parlargli, e non ritornate finché non l'abbiate trovato, altrimenti dirò al Rettore della Chiesa la vostra maniera di trattare i ragazzi.

A questa intimazione si calmò l'ira spropositata del sagrestano, il quale, deposto lo spolverino e gridando tòder tòder [vocabolo in dialetto piemontese che si usa in modo di scherzo e di scherno, ndr], corse dietro al giovanetto; lo cercò, lo trovò in una via attigua, e, assicuratolo di migliore trattamento, lo condusse a D. Bosco. Il poverino si avvicinò tutto tremante e in lagrime per le busse ricevute.

- Hai già udita la Messa? - gli domandò il sacerdote con tutta amorevolezza.

- No. - Rispose.

Vieni adunque ad ascoltarla; dopo avrò da parlarti di un affare, che ti farà piacere.

Desiderio di D. Bosco era solo di mitigare l'afflizione di quel tapinello e non lasciarlo con sinistre impressioni contro gli addetti alla sagrestia; ma ben più alti erano i disegni di Dio, che voleva in quel giorno porre la base di un grande edifizio. Quel dialogo era stato interrotto dal sagrestano, il quale veniva accompagnato da un altro giovane, che aveva cercato per servir la Messa.

Celebrata la Santa Messa e fattone il dovuto ringraziamento, D. Bosco fece venire a sé e condusse il suo candidato in un coretto della Chiesa, ove sedette con faccia allegra, ed, assicurandolo che non avesse più timore di percosse, prese ad interrogarlo così: - Mio buon amico, come ti chiami?

- Mi chiamo Bartolomeo Garelli.

- Di qual paese sei?

- Sono di Asti.

- Che mestiere fai?

- Il muratore.

- Vive ancora tuo padre? No, mio padre è morto.

- E tua madre ?

- Mia madre è anche morta.

- Quanti anni hai ?

- Ne ho sedici.

- Sai leggere e scrivere?

- Non so niente.

- Sai cantare?

- Il giovanetto, asciugandosi gli occhi, fissò D. Bosco in viso quasi meravigliato e rispose: - No.

- Sai zufolare?

- Il giovanetto si mise a ridere; era ciò che Don Bosco voleva, perché indizio di guadagnata confidenza. Continuò quindi: - Dimmi: Sei stato già promosso alla prima Comunione?

- Non ancora.

- Ti sei già confessato ?

- Sì, ma quando ero piccolo.

- E le tue orazioni mattina e sera le dici sempre?

- No, quasi mai; le ho dimenticate.

- E non hai nessuno che si curi di fartele recitare?

- No.

- Dimmi: vai sempre alla Messa tutte le domeniche?

- Quasi sempre - rispose il giovane, dopo un po' di pausa e facendo una smorfia.

- Vai al Catechismo ?

- Non oso.

- Perché?

- Perché i miei compagni più piccoli di me sanno la Dottrina ed io così grande non ne so una parola: per questo ho vergogna di mettermi tra loro in quelle classi.

- Se ti facessi io stesso un catechismo a parte, verresti ad ascoltarmi?

- Ci verrei di buon grado.

- Verresti volentieri anche in questa cameretta?

- Sì, sì, purché non mi diano delle bastonate.

- Sta' tranquillo, che niuno ti maltratterà più, come ti ho già assicurato; anzi d'ora in avanti tu sarai mio amico ed avrai da fare con me e con nessun altro. Quando vuoi dunque che incominciamo il nostro catechismo ?

- Quando a lei piace.

- Stasera forse?

- Sì.

- Vuoi anche adesso?

- Sì, anche adesso e con molto piacere.

D. Bosco allora si pose in ginocchio, e, prima di incominciare il catechismo, recitò un'Ave Maria perché la Madonna gli desse la grazia di poter salvare quell'anima. Quell'Ave fervorosa e la retta intenzione fu feconda di grandi cose! D. Bosco poi si alzò e fece il segno di santa croce per cominciare; ma il suo allievo non lo faceva, perché ne ignorava il modo e le parole: e perciò in quella prima lezione il maestro s'intrattenne nell'insegnargli la maniera di fare il segno della croce e fargli conoscere Iddio Creatore e il fine per cui ci ha creati e redenti. Dopo circa una mezz'ora lo licenziò con grande benevolenza; e, assicurandolo che gli avrebbe insegnato a servire la Santa Messa, gli regalò una medaglia di Maria SS., facendosi promettere di ritornare la domenica seguente. Quindi soggiunse: - Senti, io desidererei che tu non venissi solo, ma conducessi qua altri tuoi compagni. Io avrò qualche regalo da fare di nuovo a te e a quanti verranno teco. Sei contento?

- Oh molto, molto! - rispose con una grande espansione quel buon giovane; e, baciatagli la mano due o tre volte, se ne andò.

Garelli innanzi a D. Bosco rappresentava non solo innumerevoli giovani, ma i molti popoli che avrebbe evangelizzati. Questa è la vera origine degli Oratori festivi. D. Bosco ne fu l'iniziatore e Garelli la pietra fondamentale, sopra della quale la Vergine Santa fe' scendere grazie e favori senza numero.

Nella settimana susseguente D. Cafasso pure ebbe ad invitare un giovanetto a servirgli la S. Messa; ma questi non sapeva, e però Don Cafasso lo pregò a ritornare che gli avrebbe insegnato. A questo per lo stesso motivo se ne aggiunse un secondo. Don Cafasso non potendosene occupare, ne affidò la cura a D. Bosco, il quale così aumentava il numero de' suoi scolari.

La domenica seguente pertanto nella Chiesa di S. Francesco si vide un caro spettacolo. Sei garzoncelli male in arnese, condotti da Bartolomeo Garelli, insieme cogli altri due stavano attentissimi alle parole di D. Bosco, che loro insegnava la strada del paradiso. Sebbene di tarda memoria, tuttavia coll'assiduità e coll'attenzione, in poche feste, Garelli riuscì ad imparare le cose necessarie per poter fare una buona Confessione e poco dopo una santa Comunione. Quindi apprese eziandio a servire la S. Messa. Questo giovane d'allora in poi fu discepolo affezionato di D. Bosco, e il Canonico Anfossi ed altri lo videro venire all'Oratorio ancora dopo il 1855.

A questi giovani allievi altri se ne aggiunsero in appresso, in guisa da riempire il coretto destinato a tali funzioni.

Una sera di quelle prime domeniche D. Bosco, attraversando la chiesa per andare in sagrestia, mentre si predicava, vide innanzi ad un altare laterale seduti sui gradini della balaustrata alcuni garzoni muratori, i quali, invece di stare attenti, sonnecchiavano. Li interrogò sottovoce: - Perché dormite?

- Non capiamo niente della predica - risposero - quel prete non parla per noi.

- Venite con me! - E li condusse in sagrestia e quivi li invitò a venire cogli altri al suo catechismo. Fra questi giovanetti erano Carlo Buzzetti, Germano, Gariboldo.

A questo modo, di settimana in settimana cresceva il numero dei catechizzandi, ai quali D. Bosco raccomandava sempre di condurgli quanti più compagni potessero. Aveva in mira di attirarli a Dio coll'obbedienza ai divini comandamenti e alle leggi della Chiesa. Subito si adoperava per far loro osservare il precetto di ascoltare la S. Messa nei giorni festivi, faceva loro imparare le orazioni del mattino e della sera, inculcando vivamente questa pratica di pietà, e li andava preparando a confessarsi bene. All'uscir dal catechismo poi in sulle prime ottenne il permesso che prendessero i loro divertimenti sulla piazzetta innanzi alla chiesa. Ma per quell'inverno D. Bosco limitò la sua cura in modo particolare ad alcuni dei più grandicelli che si trovavano lontani dalle proprie famiglie, perché forestieri in Torino e più bisognosi di istruzione religiosa. Fra essi il maggior numero era delle parti di Biella e di Milano, sopra tutto muratori. Il sagrestano nulla aveva più a ridire, perché D. Bosco, colla sua affabilità costante e con qualche dono, lo aveva persuaso del gran bene che si andava operando. Noi lo abbiamo conosciuto vecchissimo nel 1891 e conservava di D. Bosco cara memoria. Questi giovani imparavano con profitto la scienza della salute, ed erano evidenti e consolanti i risultati morali. […] D. Bosco era un nuovo apostolo che incominciava la sua missione.



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