Volgevano per la Francia i giorni del terrore e del sangue all’epoca della famosa rivoluzione. I fedeli che non avevano voluto sacrificare la loro coscienza, si ingegnavano di compiere in segreto i doveri di religione, ed accorrevano in quei luoghi, ove sapevano che stava nascosto un qualche sacerdote per essere da esso istruiti ed animati colla divina parola, e rinforzati coi Sacramenti. Erano costretti però a stare sempre in trepidazione ed angoscia, perché se venivano scoperti dai rivoluzionari erano arrestati, e condotti dinanzi ai tribunali come fanatici, erano condannati alla ghigliottina. In uno di quei giorni ferali uno zelante e coraggioso curato, l'abate Roche, al quale non bastava il cuore di lasciare l'amabile suo gregge in balia dei lupi, aveva nascostamente raccolto in una casa di campagna, presso Besanzone, un buon numero di fedeli, per predicare loro la divina parola, e celebrare i divini misteri. Era appena cominciata la predica, quando improvvisamente si seppe che veniva alla volta della casa una squadra di sicari armati di tutto punto. Si può immaginare il terrore che a tale notizia si diffuse fra quei buoni fedeli colà radunati, che già si aspettavano di dover espiare con una barbara morte la loro religiosa pietà. Gli occhi di tutti stavano rivolti con ansietà al predicatore, e non si aspettava da lui, che il segnale per darsi a precipitosa fuga. Se non che il curato fatto accorto del pericolo, e vedendo difficile lo scampo, voltosi con fermo viso ai suoi uditori: - Coraggio, esclama, e confidenza nel Signore! Stiamo tutti saldi ai nostri posti senza interrompere la sacra funzione. I persecutori di Cristo e della Chiesa siano testimoni dei nostri discorsi e delle nostre operazioni, e se non vogliono imparare a vivere anche essi da cristiani, imparino almeno come i cristiani sanno patire e morire! Queste parole pronunciate con imperturbabile sicurezza tranquillarono gli animi di tutti. Niuno si mosse, e il generoso sacerdote continuò con voce ferma la predica. Intanto sopraggiungono i satelliti, circondano la casa, spiano per ogni angolo, da ultimo penetrano nella sala dell'adunanza. Al trovar tanta gente silenziosa e raccolta, tendono bramosamente le orecchie per udire i discorsi fanatici senza dubbio e sediziosi (come credevano) che ad essi rivolgeva quel prete, cui stava intenta ad ascoltare. Il sacerdote predicava la pazienza, la rassegnazione ai divini voleri, la fedeltà alle promesse del battesimo, il perdono delle ingiurie, l'amore ai persecutori, la felicità di morir per Cristo e per la Chiesa. Le sue parole sono ravvalorate da una sovrumana virtù, e i sicari ne restano colpiti in modo straordinario. Depongono le armi, entrano riverenti, si frammischiano ai fedeli, e ascoltano devoti e compunti tutta la predica. Assistono poscia al Santo Sacrificio, e adorano la vittima divina immolata per i peccati del mondo. Tutti rinnovano le promesse del Battesimo, propongono di soffrire ogni cosa piuttosto che tradire la loro fede; e il capo di essi fattosi interprete dei voti dei suoi compagni, giura di mantenere quella stessa fede sino alla morte. Così quei lupi feroci si partirono di là tramutati in agnelli mansueti, pronti a lasciarsi scannare per amore del loro Dio.
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martedì 21 gennaio 2025
Quei rivoluzionari che ascoltarono la predica di un sacerdote zelante
Pensiero del giorno
lunedì 20 gennaio 2025
Fariseismo in salsa modernista
Quando sento parlare dei farisei mi vengono in mente i modernisti, i quali sono di un'ipocrisia stomachevole. Parlano di pace, misericordia e fratellanza, sembrando apparentemente osservanti del Vangelo, ma in realtà odiano e perseguitano ferocemente i cattolici fedeli al Magistero perenne della Chiesa.
Ad esempio noi abbiamo "ricordato" ai modernisti che Gesù nel Vangelo ha detto che chi ripudia il proprio coniuge e ne prende un altro commette adulterio, ma loro, invece di ammettere che è sbagliato fare dei compromessi al ribasso su questo tema, ci hanno ingiustamente calunniato e perseguitato. E questa sarebbe la loro fratellanza? E con che faccia parlano di pace se poi si accaniscono spietatamente contro coloro che gli ricordano quel che la Chiesa ha sempre insegnato in venti secoli di storia? Ma ai "farisei del terzo millennio" non importa la coerenza, a loro interessa ricevere gli applausi del mondo. Ma nel Giorno del Giudizio vedremo se i modernisti avranno ancora voglia di scalpitare dal desiderio di ricevere gli applausi dei mondani.
Sofferenza per la morte di un figlio
Un giovane dotato d'un carattere eccellente e di una dolcezza incantevole fu dai suoi parenti inviato ad una casa di educazione per perfezionarsi nelle scienze, secondo quello che esigeva la sua condizione. Nel sesto mese del suo soggiorno in questo collegio una malattia fierissima lo condusse agli estremi. I suoi genitori, avvisati subito di tanta disgrazia, si misero in viaggio senza ritardo. Il primo ad arrivare fu il padre, che corse subito al letto del figliuolo, e lo trovò così male che s'avvide che l'avrebbe perduto: infatti il giorno dopo era morto. Bisognava pertanto dar questa notizia alla sua madre, che arrivata di fresco faceva istanza per essere condotta al letto del suo Gustavo. Due sacerdoti furono incaricati della dolorosa missione. Dopo averla disposta alla meglio, Madama, dissero, bisogna che voi facciate un atto di sottomissione alla divina volontà. Mio Dio, esclamò la madre, ho inteso tutto: Gustavo è morto! ahimè Gustavo mio! mio caro Gustavo!... Madama, soggiunsero i due preti, ci siamo dimenticati di dirvi che a voi resta un oggetto di consolazione, il crocifisso di Gustavo!... Oh! il crocifisso del mio caro figliuolo! che mi si porti subito. Quando la pia dama lo ebbe nelle sue mani, lo strinse al cuore, baciò commossa la piaga del S. Cuore di Gesù, e la bagnò di lacrime. Da tanto dolore si sentì subito sollevata e piena di un santo conforto esclamò: Il Crocifisso sarà da qui avanti unico oggetto del mio amore; niente più potrà attaccarmi alla terra; il Crocifisso sarà il mio conforto; Egli saprà ricompensarmi della perdita del mio figliuolo. Pensiamo noi pure bene spesso ai dolori che Gesù ha sofferto per noi, e nella piaga del suo S. Cuore troveremo coraggio e forza a portare la croce che Egli ci vorrà dare.
[Brano tratto da "Il Cuor di Gesù - Mese di Giugno", di Don Antonio Zaccaria, parroco in Faenza, stampato nell’anno 1902].
Pensiero del giorno
(Brano tratto dagli scritti di Sant'Alfonso Maria de Liguori).
domenica 19 gennaio 2025
Audiolibro mp3 "Il mio ideale" di Padre Emilio Neubert
Ecco l'elenco dei file mp3 da scaricare:
Intimità divina
Pensiero del giorno
sabato 18 gennaio 2025
Modernisti e luterani
Tra le fila del movimento modernista ci sono alcuni che sostengono che i cattolici dovrebbero limitare la devozione alla Madonna per facilitare il dialogo con i luterani e altri gruppi protestanti.
Io invece penso che sarebbe un grave errore soffocare tra i fedeli la devozione mariana per compiacere chicchessia. Infatti la Beata Vergine Maria è la Mediatrice universale di tutte le grazie che Dio dona al genere umano, come insegna il Magistero perenne della Chiesa. Pertanto, chi non è devoto alla Madonna, è come se chiudesse il canale delle grazie che il Signore desidera donargli.
San Massimiliano Maria Kolbe fece un gran bene alle anime diffondendo il più possibile la devozione all'Immacolata. Se si vuole conquistare il mondo a Cristo bisogna rilanciare la devozione alla nostra Mamma del Cielo. Allora sì che otterremmo innumerevoli grazie, magari anche la conversione dei luterani!
Santo Sacrificio della Messa
Pensiero del giorno
venerdì 17 gennaio 2025
Adorazione Eucaristica Perpetua
Allo scopo di agevolare l'organizzazione, in accordo col Parroco di San Felice, la chiesa prescelta, si pensa di iniziare momentaneamente con la sola fascia oraria diurna, esponendo il Santissimo Sacramento dalle 9 di mattina alle ore 19.
Per maggiori informazioni è possibile contattare gli organizzatori ai seguenti numeri: 392 2936305 oppure 349 5287266.
La massoneria vuole distruggere la Religione
Pensiero del giorno
giovedì 16 gennaio 2025
Dio trae del bene anche da avvenimenti spiacevoli
Era l'8 dicembre del 1841, festa solenne dell'Immacolata Concezione dell'Augusta Madre di Dio.
D. Bosco, all'ora stabilita, nella sagrestia di S. Francesco d'Assisi stava in procinto di vestirsi dei sacri paramenti per celebrare la S. Messa. Attendeva che qualcheduno venisse a servirgliela. In mezzo alla sagrestia, volgendosi da una parte e dall'altra, stava un giovane dai 14 ai 15 anni, le cui vestimenta non troppo pulite e la sguaiata andatura davano a conoscere come non appartenesse a famiglia signorile né agiata. In piedi, col cappello in mano, guardava gli arredi sacri con volto attonito come uno che rare volte avesse vedute tali cose. Quand'ecco il sagrestano, certo Giuseppe Comotti, uomo di cattivo garbo e montanaro, gli si accostò e bruscamente gli disse: - Che fai tu qui? Non vedi che sei d'impaccio alla gente? Presto, muoviti a servire Messa a quel prete.
Il giovanetto nell'udire tali parole restò come stordito, e, tremebondo per paura all'austero cipiglio del sagrestano, balbettando frasi sconnesse rispose
- Non so: non son capace.
- Vieni - replicò l'altro - voglio che tu serva Messa.
- Non so - riprese il giovanetto ancor più mortificato - non l'ho mai servita.
- Come, come! - gridò il sagrestano - non sai?
E scaraventandogli un calcio proseguiva.
- Bestione che sei: se non sai servir Messa, perché vieni in sagrestia? Vattene subito. - Ma, non essendosi mosso il giovane per lo sbalordimento, in men che non si dica diede di piglio allo spolverino e giù colpi sulle spalle del poveretto, mentre questi cercava di fuggire:
- Che fate? - gridò D. Bosco commosso e ad alta voce al sagrestano. - Perché battete quel giovanetto in cotal guisa? Che cosa vi ha fatto? - Ma il sagrestano tutto infuriato non gli dava ascolto. Il giovane intanto, vedendosi a mal partito e non conoscendo qual fosse l'uscio che metteva in chiesa, erasi cacciato nella porta che metteva nel piccolo coro, inseguito dall'altro.
Qui, non trovando nessuna uscita, ritornò in sagrestia, e, finalmente trovato scampo, se la diede a gambe in piazza.
D. Bosco chiamò per la seconda volta il sagrestano e con viso alquanto severo gli chiese: - Per qual motivo avete battuto quel giovinetto? Che cosa ha fatto di male da trattarlo in tal modo?
- Perché viene in sagrestia, se non sa servir Messa?
- Comunque sia, voi avete fatto male.
- A lei che ne importa?
- M'importa assai: è un mio caro amico.
- Come? - esclamò il sagrestano meravigliato. - Suo amico quel bel soggetto?
- Certamente: tutti i perseguitati sono i miei più cari amici. Voi avete battuto uno che è conosciuto dai Superiori. Andate a chiamarlo sull'istante, perché ho bisogno di parlargli, e non ritornate finché non l'abbiate trovato, altrimenti dirò al Rettore della Chiesa la vostra maniera di trattare i ragazzi.
A questa intimazione si calmò l'ira spropositata del sagrestano, il quale, deposto lo spolverino e gridando tòder tòder [vocabolo in dialetto piemontese che si usa in modo di scherzo e di scherno, ndr], corse dietro al giovanetto; lo cercò, lo trovò in una via attigua, e, assicuratolo di migliore trattamento, lo condusse a D. Bosco. Il poverino si avvicinò tutto tremante e in lagrime per le busse ricevute.
- Hai già udita la Messa? - gli domandò il sacerdote con tutta amorevolezza.
- No. - Rispose.
Vieni adunque ad ascoltarla; dopo avrò da parlarti di un affare, che ti farà piacere.
Desiderio di D. Bosco era solo di mitigare l'afflizione di quel tapinello e non lasciarlo con sinistre impressioni contro gli addetti alla sagrestia; ma ben più alti erano i disegni di Dio, che voleva in quel giorno porre la base di un grande edifizio. Quel dialogo era stato interrotto dal sagrestano, il quale veniva accompagnato da un altro giovane, che aveva cercato per servir la Messa.
Celebrata la Santa Messa e fattone il dovuto ringraziamento, D. Bosco fece venire a sé e condusse il suo candidato in un coretto della Chiesa, ove sedette con faccia allegra, ed, assicurandolo che non avesse più timore di percosse, prese ad interrogarlo così: - Mio buon amico, come ti chiami?
- Mi chiamo Bartolomeo Garelli.
- Di qual paese sei?
- Sono di Asti.
- Che mestiere fai?
- Il muratore.
- Vive ancora tuo padre? No, mio padre è morto.
- E tua madre ?
- Mia madre è anche morta.
- Quanti anni hai ?
- Ne ho sedici.
- Sai leggere e scrivere?
- Non so niente.
- Sai cantare?
- Il giovanetto, asciugandosi gli occhi, fissò D. Bosco in viso quasi meravigliato e rispose: - No.
- Sai zufolare?
- Il giovanetto si mise a ridere; era ciò che Don Bosco voleva, perché indizio di guadagnata confidenza. Continuò quindi: - Dimmi: Sei stato già promosso alla prima Comunione?
- Non ancora.
- Ti sei già confessato ?
- Sì, ma quando ero piccolo.
- E le tue orazioni mattina e sera le dici sempre?
- No, quasi mai; le ho dimenticate.
- E non hai nessuno che si curi di fartele recitare?
- No.
- Dimmi: vai sempre alla Messa tutte le domeniche?
- Quasi sempre - rispose il giovane, dopo un po' di pausa e facendo una smorfia.
- Vai al Catechismo ?
- Non oso.
- Perché?
- Perché i miei compagni più piccoli di me sanno la Dottrina ed io così grande non ne so una parola: per questo ho vergogna di mettermi tra loro in quelle classi.
- Se ti facessi io stesso un catechismo a parte, verresti ad ascoltarmi?
- Ci verrei di buon grado.
- Verresti volentieri anche in questa cameretta?
- Sì, sì, purché non mi diano delle bastonate.
- Sta' tranquillo, che niuno ti maltratterà più, come ti ho già assicurato; anzi d'ora in avanti tu sarai mio amico ed avrai da fare con me e con nessun altro. Quando vuoi dunque che incominciamo il nostro catechismo ?
- Quando a lei piace.
- Stasera forse?
- Sì.
- Vuoi anche adesso?
- Sì, anche adesso e con molto piacere.
D. Bosco allora si pose in ginocchio, e, prima di incominciare il catechismo, recitò un'Ave Maria perché la Madonna gli desse la grazia di poter salvare quell'anima. Quell'Ave fervorosa e la retta intenzione fu feconda di grandi cose! D. Bosco poi si alzò e fece il segno di santa croce per cominciare; ma il suo allievo non lo faceva, perché ne ignorava il modo e le parole: e perciò in quella prima lezione il maestro s'intrattenne nell'insegnargli la maniera di fare il segno della croce e fargli conoscere Iddio Creatore e il fine per cui ci ha creati e redenti. Dopo circa una mezz'ora lo licenziò con grande benevolenza; e, assicurandolo che gli avrebbe insegnato a servire la Santa Messa, gli regalò una medaglia di Maria SS., facendosi promettere di ritornare la domenica seguente. Quindi soggiunse: - Senti, io desidererei che tu non venissi solo, ma conducessi qua altri tuoi compagni. Io avrò qualche regalo da fare di nuovo a te e a quanti verranno teco. Sei contento?
- Oh molto, molto! - rispose con una grande espansione quel buon giovane; e, baciatagli la mano due o tre volte, se ne andò.
Garelli innanzi a D. Bosco rappresentava non solo innumerevoli giovani, ma i molti popoli che avrebbe evangelizzati. Questa è la vera origine degli Oratori festivi. D. Bosco ne fu l'iniziatore e Garelli la pietra fondamentale, sopra della quale la Vergine Santa fe' scendere grazie e favori senza numero.
Nella settimana susseguente D. Cafasso pure ebbe ad invitare un giovanetto a servirgli la S. Messa; ma questi non sapeva, e però Don Cafasso lo pregò a ritornare che gli avrebbe insegnato. A questo per lo stesso motivo se ne aggiunse un secondo. Don Cafasso non potendosene occupare, ne affidò la cura a D. Bosco, il quale così aumentava il numero de' suoi scolari.
La domenica seguente pertanto nella Chiesa di S. Francesco si vide un caro spettacolo. Sei garzoncelli male in arnese, condotti da Bartolomeo Garelli, insieme cogli altri due stavano attentissimi alle parole di D. Bosco, che loro insegnava la strada del paradiso. Sebbene di tarda memoria, tuttavia coll'assiduità e coll'attenzione, in poche feste, Garelli riuscì ad imparare le cose necessarie per poter fare una buona Confessione e poco dopo una santa Comunione. Quindi apprese eziandio a servire la S. Messa. Questo giovane d'allora in poi fu discepolo affezionato di D. Bosco, e il Canonico Anfossi ed altri lo videro venire all'Oratorio ancora dopo il 1855.
A questi giovani allievi altri se ne aggiunsero in appresso, in guisa da riempire il coretto destinato a tali funzioni.
Una sera di quelle prime domeniche D. Bosco, attraversando la chiesa per andare in sagrestia, mentre si predicava, vide innanzi ad un altare laterale seduti sui gradini della balaustrata alcuni garzoni muratori, i quali, invece di stare attenti, sonnecchiavano. Li interrogò sottovoce: - Perché dormite?
- Non capiamo niente della predica - risposero - quel prete non parla per noi.
- Venite con me! - E li condusse in sagrestia e quivi li invitò a venire cogli altri al suo catechismo. Fra questi giovanetti erano Carlo Buzzetti, Germano, Gariboldo.
A questo modo, di settimana in settimana cresceva il numero dei catechizzandi, ai quali D. Bosco raccomandava sempre di condurgli quanti più compagni potessero. Aveva in mira di attirarli a Dio coll'obbedienza ai divini comandamenti e alle leggi della Chiesa. Subito si adoperava per far loro osservare il precetto di ascoltare la S. Messa nei giorni festivi, faceva loro imparare le orazioni del mattino e della sera, inculcando vivamente questa pratica di pietà, e li andava preparando a confessarsi bene. All'uscir dal catechismo poi in sulle prime ottenne il permesso che prendessero i loro divertimenti sulla piazzetta innanzi alla chiesa. Ma per quell'inverno D. Bosco limitò la sua cura in modo particolare ad alcuni dei più grandicelli che si trovavano lontani dalle proprie famiglie, perché forestieri in Torino e più bisognosi di istruzione religiosa. Fra essi il maggior numero era delle parti di Biella e di Milano, sopra tutto muratori. Il sagrestano nulla aveva più a ridire, perché D. Bosco, colla sua affabilità costante e con qualche dono, lo aveva persuaso del gran bene che si andava operando. Noi lo abbiamo conosciuto vecchissimo nel 1891 e conservava di D. Bosco cara memoria. Questi giovani imparavano con profitto la scienza della salute, ed erano evidenti e consolanti i risultati morali. […] D. Bosco era un nuovo apostolo che incominciava la sua missione.
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