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lunedì 4 maggio 2015

Padre Felice Cappello, un esempio per il movimento tradizionale (422)

I pericoli che dobbiamo evitare sono essenzialmente due: da un lato il modernismo e il rilassamento spirituale, dall'altro il rigorismo, la rigidità, l'asprezza, l'eccessiva severità, ecc. Ecco perché spero che Padre Felice Cappello (1879-1962) possa diventare per tutti i militanti del "movimento tradizionale" (sia per i consacrati che per i fedeli laici) uno dei modelli da imitare. Questo zelante seguace di Sant'Ignazio di Loyola è stato per decenni uno dei confessori più ricercati di Roma. Non era un sacerdote “lassista”, ma attirava fiumi di penitenti con la sua dolcezza, affabilità, cortesia e bontà (come facevano anche San Francesco di Sales e San Leopoldo Mandic). Padre Felice Maria Cappello era anche dottissimo, sapeva risolvere con efficacia i casi morali più ingarbugliati, donando la serenità alle coscienze dei penitenti. Si sforzava di essere sempre un confessore “giusto”, ma mai severo. Riporto alcuni pensieri tratti dai suoi scritti.


"Nei suoi pareri e decisioni non usi mai la severità. Il Signore non la vuole. Giusto sempre, severo mai. Dia sempre la soluzione che permetta alle anime di respirare. Non si stanchi d'insistere sulla confidenza. Si persuada che le anime hanno soprattutto bisogno di essere incoraggiate e di credere sempre più nell'amore di Dio, che è immenso"

"I principii sono principii. Restano fermi e vanno sempre difesi. Ma le coscienze non sono tutte uguali. Nell'applicare i principii alle coscienze ci vuole tanta prudenza, tanto buon senso, tanta bontà"

"Quando si tratta del bene diretto e immediato di un'anima, è meglio seguire quello che hanno detto e fatto i santi, che quello che hanno scritto i dotti"

"Pregherò tutti i giorni per coloro che mi hanno offeso e recato del male, perdonando generosamente qualunque torto per amore di Gesù"

"Sento che il Signore domanda molto a lei, che molto aspetta dal suo cuore. Sento che il buon Gesù vuole distaccarla da tutto e da tutti, che vuole stringerla sempre più a sé con un vincolo ineffabile, che vuole condurla in alto, alla perfezione, all'unione intima con lui, per mezzo della contrarietà, delle umiliazioni. Queste sono la via sicura ed infallibile che mena alla santità, il mezzo usato da Gesù coi santi, il segno di predilezione da parte dello Sposo divino verso le anime predilette. Le umiliazioni e le contrarietà, come in generale le sofferenze fisiche e morali, sono gemme preziosissime. Perciò la prego a restare calma, ad accettare tutto e volentieri dalle mani di Gesù, ed offrire tutto generosamente a lui, per la sua e mia santificazione e per la conversione dei peccatori. Cerchi, desideri e compia solo la volontà del Signore. In ciò consiste la vera e genuina santità." (14 agosto 1930)

"Amare il Signore in parole è facile, ma il vero amore sta nella sofferenza accettata con rassegnazione; anche noi, se vogliamo riparare nel modo migliore, dobbiamo offrire le nostre tribolazioni fisiche e morali, esterne ed interne; offrire al Signore le nostre croci accettate con pazienza. Dobbiamo vivere di questo spirito cristiano: tutto è permesso o è voluto da Dio, nulla accade in questo mondo senza la sua divina volontà: è Dio stesso che ci offre quella tribolazione. In qualunque circostanza della nostra vita dobbiamo sapergli dire: «Voi avete sofferto per me, anch'io voglio soffrire per voi»".

"Circa la carità, mi studierò di rendermi veramente segnalato nel pratico esercizio di essa coll'essere sempre affabile, dolce, urbano, delicato, pieno di cortesia e di delicatezza con tutti e nelle singole circostanze". (Proposito fatto durante gli esercizi spirituali del 1939)

"Devo essere vittima di amore: Amare Gesù: ecco lo scopo della mia vita. Ogni parola, ogni passo, ogni pensiero, ogni sentimento, ogni respiro, dev'essere un atto di purissimo amore. Vivere e morire di amore per Gesù: ecco il mio ideale".