Ho letto tante biografie di cattolici che hanno vissuto santamente. Tra le altre, mi ha entusiasmato leggere quella del Beato Bartolo Longo, il Fondatore del meraviglioso Santuario di Pompei (uno dei luoghi di culto più belli tra quelli che ho visitato personalmente). Nel 1885 questo zelante fedele laico si sposò con la contessa Marianna Farnararo De Fusco, la quale aveva 5 anni più di lui. I biografi dicono che vissero in totale castità, come se fossero fratelli. Alcuni potrebbero pensare erroneamente che il loro matrimonio fu invalido, in realtà uno sposalizio può essere celebrato validamente anche se entrambi i coniugi desiderano viverlo in castità. Si tratta del cosiddetto “matrimonio di San Giuseppe” (così lo definisce Padre Eriberto Jone nel suo "Compendio di Teologia Morale"). Siccome è un tema che potrebbe interessare qualche persona ed è difficile trovare in giro informazioni al riguardo, ho deciso di parlarne su questo blog.
Papa Pio XI, nella splendida enciclica “Casti connubii” sul matrimonio cristiano, afferma che l'onesta continenza è “permessa anche nel matrimonio, quando l’uno e l’altro coniuge vi consentano”. Probabilmente a questo punto alcuni si domanderanno come sia possibile che possa essere celebrato validamente un matrimonio del genere, visto che il fine primario del matrimonio è quello di procreare ed educare cristianamente la prole. Per rispondere in maniera corretta a questa obiezione, sono andato a rileggere alcuni vecchi manuali di Teologia Morale.
Il matrimonio è il sacramento che unisce indissolubilmente gli sposi e gli dà la grazia di vivere santamente assieme e di allevare cristianamente la prole. Con il matrimonio i coniugi si scambiano a vicenda il diritto irrevocabile ed esclusivo sui loro corpi al fine di procreare la prole ed educarla cristianamente. Oltre al fine primario del matrimonio (cioè procreare ed educare cristianamente i figli) ci sono due fini secondari: il mutuo aiuto spirituale e materiale dei coniugi; e il rimedio contro la concupiscenza (chi non riesce a dominare la concupiscenza della carne, è bene che si sposi, così eviterà di ardere dalla passione e di commettere qualche peccato di lussuria).
Il matrimonio può essere celebrato per uno qualunque dei suddetti fini, purché il fine primario non venga deliberatamente escluso. Affinché un matrimonio sia valido, il fine primario è necessario, pertanto chi desidera sposarsi non può avere l'intenzione di escludere di cedere al coniuge il diritto ad utilizzare il proprio corpo per procreare la prole. Tuttavia è lecito rinunciare ad esercitare questo diritto, purché entrambi i coniugi siano d'accordo. Per sintetizzare: la cessione al coniuge del diritto sul proprio corpo per fini procreativi è necessaria per la validità del matrimonio, però è lecito rinunciare ad esercitare questo diritto, purché i coniugi siano tutti e due favorevoli a vivere in castità.
Non voglio essere frainteso: non sto dicendo che le persone sposate non devono mettere al mondo i figli, anzi ho grande stima per le famiglie numerose, quindi incoraggio i lettori sposati ad accogliere con gioia tutti i figli inviati dal buon Dio, e ad educarli cristianamente per farli diventare un giorno dei “cattolici militanti” e veri soldati di Gesù Cristo. Tuttavia, se tra i lettori c'è qualche persona non sposata che pur volendo vivere in castità, vorrebbe anche avere al proprio fianco un coniuge cristiano per scambiarsi vicendevolmente aiuto spirituale e materiale, sappia che può celebrare un “matrimonio di San Giuseppe”, purché il futuro coniuge sia favorevole.