La fedeltà dei soldati provasi nei combattimenti, e non già nel riposo. Questa terra è per noi campo di battaglie dove ognuno è posto a combattere e vincere per salvarsi; e se non vince è perduto in eterno. [...] Pativa Giobbe nel combattere con tanti nemici, ma si consolava colla speranza che vincendo e risorgendo dopo la morte avrebbe mutato stato. [...] In cielo si muta stato, quello non è più luogo di fatica, ma di riposo; non di timore, ma di sicurezza; non di mestizia e tedio, ma di allegrezza e gaudio eterno. Colla speranza dunque di tal gaudio animiamoci a combattere sino alla morte e non ci diamo mai per vinti ai nostri nemici donec veniat immutatio nostra, finché non giungerà la fine del nostro combattimento e il possesso dell'eternità beata.
[...] Beato chi patisce per Dio in questa vita, egli patisce per qualche tempo, usque in tempus, ma il suo gaudio sarà eterno nella patria beata. Sicché finiranno le persecuzioni, finiranno le tentazioni, le infermità, le molestie e tutte le miserie di questa vita; e Dio ci darà una vita appieno contenta che più non finirà. Ora è tempo di potar la vigna e di togliere tutto quel che c'impedisce il cammino alla terra promessa del cielo [...]. Il taglio apporta dolore, onde bisogna aver pazienza: postea redditio iucunditatis: dipoi, quanto avremo sofferto, tanto ci sarà renduto di consolazioni. Dio è fedele a chi patisce quaggiù per suo amore con rassegnazione, promette di essere egli stesso la sua mercede la quale sarà immensamente superiore a tutti i nostri patimenti [...].
Frattanto prima di ricever la corona della vita eterna vuole il Signore che siam provati colle tentazioni: Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam cum probatus fuerit accipiet coronam vitae quam repromisit Deus diligentibus se. Beato dunque chi è fedele a Dio nel soffrire le avversità. Alcuni allora credono di essere amati da Dio, quando tutte le loro cose temporali van prospere e non hanno travagli; ma s'ingannano, perché Dio non colle prosperità, ma colle avversità prova la pazienza e la fedeltà dei suoi servi, per dar loro poi quella corona che non marcisce, come marciscono tutte le corone di questa terra; e sarà corona di gloria eterna, siccome scrive s. Pietro: Percipietis immarcescibilem gloriae coronam. Questa corona poi a chi sta promessa? dice s. Giacomo: Quam repromisit Deus diligentibus se. Dio l'ha promessa e ripromessa a chi l'ama; poiché l'amor divino ci farà combatter con fortezza ed ottener la vittoria.
Coll'amore a Dio bisogna anche unire l'umiltà. Dice l'Ecclesiastico: Quoniam in igne probatur aurum et argentum; homines Deo receptibiles in camino humiliationis. Nelle umiliazioni si scoprono i santi; in quelle si prova se sono oro o piombo. Quel tale è stimato un santo, ma ricevendo un aggravio tutto si disturba, se ne lamenta con tutti; dice che ne vuole far pentire l'autore: che segno è? segno ch'è piombo. Dice il Signore: In humilitate tua patientiam habe. Il superbo stima una grande ingiustizia ogni umiliazione che riceve, e perciò non la può sopportare; l'umile all'incontro stimandosi degno di qualunque maltrattamento soffre tutto con pazienza. Chi ha commesso un peccato mortale dia un'occhiata all'inferno che si ha meritato, e così soffrirà con pazienza ogni disprezzo, ogni dolore.
Amiamo dunque Dio, stiamo umili, e quanto facciamo facciamolo non per dar gusto a noi, ma solo per dar gusto a Dio. [...]
Gesù mio crocifisso, io sono uno di coloro che anche nelle mie divozioni sono andato trovando il mio gusto e le mie soddisfazioni; tutto dissimile a voi che per amor mio avete fatta una vita tribolata e spogliata d'ogni sollievo. Datemi il vostro aiuto, perché da ogg'innanzi voglio cercare solo il vostro gusto e la gloria vostra. Voglio amarvi senza interesse; ma io son debole, voi avete da darmi la forza di eseguirlo. Eccomi son vostro, disponete di me come vi piace; fate ch'io v'ami e niente più vi domando. O Maria madre mia, ottenetemi fedeltà a Dio colla vostra intercessione.
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