La mattina del 30 dicembre [del 1941, n.d.r.] fu ferito gravemente il vicecaposquadra [grado della Legione equivalente a quello di “sergente” dell’Esercito, n.d.r.] Boldarino Elio da Lavariano. Era un carissimo figliolo [...] di una profonda fede. Presidente di una Associazione giovanile cattolica e legionario esemplare, nel suo cuore si disposavano armoniosamente Dio e l'Italia. Armoniosamente! [...] E lo vidi tante volte pregare od accostarsi all'agape eucaristica: allo stesso modo e più profondamente rapito ed assorto. […] Soleva parlarmi con insistenza di due cose soltanto: del suo prete e della sua fidanzata; di colui che lo aveva educato e spinto a vette soprannaturali di virtù e di colei che, solo a ricordarla, gli riscaldava il suo buon cuore di fanciullo.
[…] Venne dunque quella mattina, al posto di medicazione. Gli chiesi:
- Sei ferito gravemente, Elio?
Mi rispose [...]: - Non abbastanza per i miei peccati!
Ed era tanto buono! Pensai: «Se tanti fra noi, se tutti noi avessimo tale umiltà ed accettazione del dolore, come sarebbe santo il mondo!».
Lo spogliammo. Una scheggia gli era penetrata in cavità nel costato destro. Gli dissi, quasi sussurrando:
- Vedi, Elio! Sei ferito come nostro Signore...
Qualche gemito gli usciva dalle labbra pallide. Allora osai invitarlo a tanta altezza d'offerta che poi n'ebbi quasi rimorso.
- Elio - gli dissi - tu hai avuto sempre tanta fede. Ti chiedo di dimostrarla ora. Non lamentarti! Offri in silenzio la tua vita ed i tuoi dolori al Signore per l'Italia. E non piangere!
Non mi rispose. [...] Già tra scoppio e scoppio delle granate scroscianti tutt'intorno si sentiva l'urlo di qualche ferito grave che metteva i brividi. Perciò gli dissi:
- Elio, tu che hai avuto sempre tanta fede non lamentarti!
Medicato dalle sagge mani del nostro «dottorino», lo mettemmo a giacere in un angolo.
Dopo alcune ore un legionario venne a dirmi:
- Signor cappellano, il vicecaposquadra Boldarino desidera parlarvi.
Mi recai tosto accanto a lui, e, piegato un ginocchio per cogliere meglio la voce fioca, gli chiesi:
- Che cosa vuoi, Elio?
- Che cosa scriverete - mi disse - a mio papà? (sapeva che io scrivevo ai genitori dei Caduti). Gli direte che non mi sono mai lamentato? Ho fatto come mi avete detto.
Confesso che non potei rispondergli: un groppo mi soffocava la voce. M'alzai senza parola; mi sentii confuso davanti a tanta grandezza d'animo. Egli aveva offerta la sua vita ed i suoi dolori per l'Italia senza neppure un umanissimo gemito di dolore...
Lo vidi ancora di sfuggita: s'era levato su un poco per confortare ed incoraggiare i feriti che gli stavano vicini.
Poi partì, a notte, via per la neve, sulle slitte ch'eran venute a portarci le munizioni e se ne ritornavano giù con un carico eroico e sanguinante. E seppi che come un santo morì all'ospedale da campo 235 di Stalino [l’odierna città di Donetsk, n.d.r.].
Dopo il mio rientro in Italia, lessi su «L'Avvenire d'Italia» un articolo intitolato: «Ho visto morire un santo»: era firmato da un sergente di sanità. Parlava della morte del nostro Boldarino. Ed io stesso ne scrissi qualcosa sul periodico «Credere».
Ed ecco una lettera che parla di lui e che amo riprodurre:
«Posta Militare 88, li 2-9-42.
Rev. D. Biasutti,
sul "Credere" del 9 agosto c.a. ho letto la commovente vs. narrazione intorno la morte di Elio Boldarini, ex-presidente dell'Ass. Giov. di Lavariano (Udine). Mi sento perciò in dovere di confermarvi l'ultima frase che dice:
"E seppi che come un santo morì all'ospedale da campo di... ", essendo io uno tra i pochissimi fortunati ad assistere al sereno suo trapasso da questa valle di lacrime alla Patria degli eletti.
Da cinque giorni mi trovavo ricoverato al 235 O. C. [ospedale da campo, n.d.r.], allora a Stalino. In due sole ore le sale del grande fabbricato si sono riempite di feriti provenienti da ogni settore del fronte. Forse il più grave dei barellati era appunto il vicecaposquadra Boldarini. Potendo muovermi, davo una mano ai poveri infermieri, che in quei giorni avevano il loro bel da farsi. Appena fu adagiato sul suo lettino, il mio sguardo s'è incontrato col suo ed ho intuito subito che non si trattava di un ferito come gli altri. Buona parte della giornata la passavo al suo capezzale e gli somministravo tutte quelle cure che il suo stato pietoso richiedevano. I primi due giorni parlava non senza un po' di fatica (povero Elio, oltre alla grave ferita alla regione del fegato, aveva pure un principio di broncopolmonite) ed avevamo stretto una sincera amicizia. […] Ricordo una frase che mi ha fatto convinto della sua anima eletta: "Grave è la mia ferita e grande è il dolore che provo per essa... Soffro... Soffro molto... Ma sono rassegnato, anzi contento di offrire a Dio ogni mio patire per l'avvento del Suo regno anche in queste terre avvelenate dal Bolscevismo...".
Per quanto potei capire dalle frequenti visite fattegli dal buon dottore, il suo stato peggiorava di giorno in giorno, anzi di ora in ora. Quindi cominciai a riordinare tutti i suoi oggetti personali, fingendo di fare un po' di pulizia alle tasche. Elio, però, aveva capito tutto e mi sorrideva con quello sguardo sereno e penetrante. Ciononostante accettava gli auguri e gli incoraggiamenti che i visitatori gli rivolgevano e ringraziava raccomandandosi molto alle nostre preci.
Il giorno segnato da Dio per chiamare a sé quell'anima eletta è arrivato. Verso le ore 16 del giorno 12 gennaio c.a. il male toccò il vertice. Un rantolo gli serrava la gola... Aveva sempre molta sete...
Mandai a chiamare il sacerdote perché lo avevo preparato a ricevere l'Estrema Unzione. Subito il buon Padre arrivò e gli disse alcune parole di conforto. Gli fu risposto con voce flebile: "Grazie, Padre, mi sento preparato; somministratemi pure l'Estrema Unzione". Tutti della camerata piangevano. Che insegnamento meraviglioso di unione continua di un'anima con la grazia di Dio ci ha offerto il caro Elio!
Mentre gli bagnavo ancora la lingua arida, mi sussurrò un ringraziamento per quanto avevo fatto per lui e volle l'assicurazione che scrivessi al suo amato parroco ed agli amici di A. C.
Ai piedi del suo letto erano immobili, oltre il ten. cappellano, pure tutti i medici, gli infermieri e vari ammalati. Tutti guardavano quel giovane senza lamenti, dallo sguardo sereno e tranquillo. Ad un certo momento disse con molta fatica: "Lo so che tra poco debbo morire; muoio contento e tutto offro a Gesù; mi dispiace molto per la mia cara mamma, ... ma la rivedrò lassù in Cielo".
Pochi istanti dopo l'anima sua volava a ricevere il premio meritato. Tutti piangevano e non staccavano lo sguardo da quel volto sereno. Più d'una voce ha detto in quel momento: "È morto da santo!". […] L'indomani ho scritto una lettera al suo parroco, facendo una relazione su per giù come questa, e spronando i suoi giovani a voler imitare il loro amato presidente […].
Pregandovi di volermi ricordare al Signore perché anch'io diventi buono come Elio, vi porgo i miei figliali ossequi ed auguri.
Dev. cap. magg. Casarin Luigi».