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lunedì 2 settembre 2024

Se il confessore cambia le parole della forma è valida la Confessione?

Uno degli scopi del mio blog consiste nel diffondere gli insegnamenti di dotti teologi di sicura fede su questioni attinenti la morale e la dogmatica onde evitare che le anime dei lettori possano patire scrupoli e dolorose angustie di coscienza.

Come è noto, affinché un sacramento venga celebrato validamente, è necessario che venga osservata la "forma" prescritta dalla Chiesa, ossia le parole che si proferiscono nell'amministrarlo. Alcune parole della forma possono essere "non essenziali", pertanto se il ministro non le pronuncia o le cambia, il sacramento è valido lo stesso, anche se il ministro rischia di commettere un comportamento illecito che offende Dio. Invece altre parole sono essenziali, pertanto senza di esse il sacramento non è valido. 

Molti si domandano se sia valida l'assoluzione sacramentale amministrata da un prete che ha il "prurito delle novità" e che taglia o modifica alcune parole della forma. Visto quanto detto sopra, la risposta è: dipende da quali parole elimina o modifica. Secondo me un prete, anche se super modernista, è difficile che possa giungere ad eliminare o modificare persino le parole essenziali della forma del sacramento della Confessione. 

Per approfondire questo importante tema lascio la parola a uno dei più diffusi e apprezzati manuali di Teologia Morale del secolo scorso. Ovviamente ciò che viene detto per le parole della forma in latino vale anche per le corrispondenti parole in italiano o in altre lingue nazionali.


Della mutazione della forma.

I. La forma, dell’assoluzione dei peccati (Deinde ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii, + et Spiritus Sancti. Amen) deve essere pronunciata integralmente. Tuttavia non pecca gravemente chi, anche scientemente e volontariamente, omette le parole ego, amen, deinde, o anche la stessa invocazione della SS. Trinità. [...]

II. Affinchè la validità dell’assoluzione sia affatto certa, nella forma devonsi esprimere tre cose; cioè: a) il ministro che assolve; b) la persona che è assolta; c) ciò che è cancellato dall’assoluzione. Ora queste tre cose sono sufficientemente espresse nelle parole: te absolvo; perchè la persona del ministro è implicitamente compresa nel verbo absolvo; la persona assolta è esplicitamente indicata nel pronome te; nel verbo stesso absolvo implicitamente si esprime ciò che dall’assoluzione viene cancellato, cioè i peccati. Perciò assolve validamente, sebbene illecitamente, chi dice: Te absolvo. Così pure assolve validamente chi dice: “Te absolvo a peccatis o absolvo a peccatis tuis, ecc. ecc. Finalmente assolve validamente (anzi anche lecitamente, quando urge la necessità, per es. dell’imminente battaglia o dell’imminente naufragio) chi dà l’assoluzione a più contemporaneamente dicendo: Ego vos absolvo a peccatis vestris. (...)

III. Inoltre, affinchè l'assoluzione sia del tutto certa, è necessario che la forma di essa: a) esprima l’assoluzione dai peccati. Perciò assolve validamente, sebbene illecitamente, chi dice: Remitto (condono) tibi peccata tua; o solvo (libero) te a peccatis tuis; o impendo tibi absolutionem sacramentalem, ecc. Ma assolve invalidamente chi dice: Mundo (lavo, abluo) te a peccatis tuis. b) Significhi un'azione decisiva. Perciò devesi adoperare l’espressione indicativa o almeno imperativa. Chi invece usa l’espressione ottativa o deprecativa (come se dicesse: absolvat te Deus, o Deus remittat tibi peccata tua, ecc.) mette in pericolo il valore del Sacramento. 


[Brano tratto da “Sommario di Teologia Morale” di Don Luigi Piscetta e Don Andrea Gennaro, traduzione dal latino di Don Antonio Cavasin, casa editrice SEI, Imprimatur: Torino, 6 agosto 1951, Can. Luigi Coccolo, Vicario Generale].