Fra tante altre anime, su cui Gesù sacramentato sparse l'abbondanza delle sue grazie, merita particolare ricordo un operaio per la straordinaria e fervorosa sua prontezza nell'abbracciare e praticare la vera fede appena l'ebbe conosciuta.
Mi trovavo nella stanza a pianterreno n. 34 della prigione Lefortovskaia, trasferito dalla Lubianca per la seconda volta. Un giorno vi fecero entrare un uomo alto, magro e vestito con stracci neri; aveva un piccolo involto sotto il braccio: era un minatore ucraino delle miniere del bacino del Don.
Durante l'occupazione tedesca dell'Ucraina (orientale, ora sovietica), fu, insieme con un gran numero di uomini e donne, preso e mandato forzatamente in Germania a lavorare. Finita la guerra fu di nuovo con molti altri cittadini sovietici ricondotto in Patria. Già da due anni lavorava nelle miniere e per la sua laboriosità aveva conquistato il posto di caposquadra dei minatori, quando qualcuno, forse un pretendente al suo posto, sussurrò alle orecchie della polizia segreta ch'egli, durante la guerra, era stato in Germania. Fu immediatamente arrestato e mandato a Mosca, dove lo tormentarono, come me, - ma fino allora per soli cinque mesi - sotto il torchio degli interrogatori.
Costui mi diceva che sotto i Soviets, nonostante l'occupazione generale di tutti i lavoratori, il semplice popolo conduceva una vita molto stentata e, all'infuori di pochi privilegiati dell'esercito e degli alti impiegati dello Stato e del partito, erano ben pochi quelli che potevano permettersi una vita alquanto agiata. [...]
Ma ciò che mi commosse profondamente fu la constatazione dell'opera compiuta direttamente dallo Spirito Santo in quell'anima semplice e retta. [...] Indi, preso un aspetto serio, ma di tenerezza filiale raccontò come ritornando ogni volta dalle tormentose istruttorie si dava a camminare su e giù per la cella e a recitare in onore della Madonna Santissima l'unica preghiera che sapeva: l'Otce nasc - il Pater noster». Mi assicurava che quella preghiera lo consolava sempre delle angherie bolsceviche e infondeva in lui coraggio, dandogli piena speranza che la Madre di Dio - «Bogorodiza» - avrebbe certamente assistito lui e la sua famiglia. Non desiderava altro, poiché, ormai era rassegnato ai dieci anni di galera, secondo le assicurazioni dei giudici istruttori i quali negli ultimi tempi lo trattavano un po' più umanamente, esortandolo ad essere anche nei campi di lavoro forzato sempre laborioso come fu nelle miniere per meritare qualche aumento nel vitto e mitigazioni nel trattamento...
Ammirata così l'unzione dello Spirito Santo, non volli venir meno al mio dovere pastorale di cooperare all'attività divina per completare la grande opera della salute eterna di questo bravo figliolo. Gli parlai, in breve, di Dio, di Gesù Cristo, della vera religione e degli obblighi d'ogni cristiano, promisi di insegnargli altre preghiere e spiegai le cose necessarie per ben confessarsi e comunicarsi.
Sentendo che io possedevo presso di me, anche in quella celletta carceraria, il Santissimo, egli balzò dalla gioia dichiarando di esserne privo da molto tempo e mi supplicò di insegnargli tutte le preghiere e le cose necessarie protestandosi pronto e felice di divenire cattolico.
D'allora in poi egli divenne la mia gioia e felicità [...]. «Padre - s'affrettava a dirmi con un tono supplichevole e pieno di sincerità - io rispetto molto Voi e Vi voglio bene, perché Voi m'insegnate le preghiere e ad amare la Madonna e a servire fedelmente Iddio Benedetto». [...]
Nelle prime settimane, preparatolo sommariamente - per tema che lo portassero via - lo ammisi alla professione di fede, alla confessione generale ed alla prima Santa Comunione da cattolico. Indi continuai a completare l'istruzione e l'insegnamento delle preghiere, traducendo a memoria dal latino in russo e ripetendo infinite volte parola per parola per stampargliele in quella mente arrugginita. Il mio scolaretto non si distingueva per particolare facilità nell'apprendere, ma imparata una preghiera non c'era verso che la dimenticasse o la confondesse. Anzi, quando nel dire il credo o i misteri del rosario, io non facendo grande attenzione sbagliavo in russo, egli subito notava che io avevo usato un'altra parola o confuso l'ordine.
Ogni mattina e ogni sera insieme recitavamo le solite preghiere, il rosario e le invocazioni dopo la benedizione Eucaristica. Imparò perfettamente il Pater, Ave, Gloria, la Salve Regina, il Credo, gli atti di Fede, Speranza, Carità e Contrizione, L'Angelus con l'Oremus e i quindici misteri del Santo Rosario. In modo particolare insistetti perché imparasse, capisse e spesso ripetesse l'atto di perfetta contrizione, come pure facesse ogni cosa col motivo di un puro e perfetto amore di Dio.
Arrivò a tanto che - mentre prima rispondeva alle preci da me dette - poi volle sempre che io facessi la parte dei fedeli e lui quella del sacerdote nella recita della corona quotidiana, dell'Angelus e del Pater, Ave, Gloria prima e dopo i pasti. Spesso durante la giornata girava per la cella dicendo da sola l'intero rosario.
Non di rado dalla gioia saltava dicendo: «Ora vado nei campi di lavoro forzato e insegnerò anche agli altri condannati a pregare. Poverini essi non sanno le preghiere, come saranno contenti, come mi ringrazieranno!...».
[Brano tratto da "Le mie prigioni nel paradiso sovietico", di Padre Pietro Alagiani, S. J., Edizioni Paoline, imprimatur: e Vicariatu Urbis die 15 Apr. 1956, + Aloysius Traglia, Archiep. Caesarien. Vicesgerens].