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lunedì 27 giugno 2022

Aspettarono 5 ore in chiesa per poter fare la Comunione!

Quanto bene hanno fatto i missionari ardenti di zelo per la salvezza delle anime! A tal proposito desidero farvi leggere alcuni brani tratti da una relazione di Don Pietro Berruti (1885 - 1950) pronunciata a Torino nella Chiesa di San Giovanni Evangelista il 2 febbraio 1938 e pubblicata sul “Bollettino Salesiano” del mese di aprile dello stesso anno.

L'eroismo nell'apostolato è all'ordine del giorno. Ecco quanto mi ha riferito un teste oculare, degno di fede, direttore di uno di quei nostri collegi. Un missionario doveva prendere l'autocorriera per giungere, il sabato sera, alla sua residenza. Perdette la corsa e si trovò a 52 km. di distanza senza mezzi di locomozione. Non si smarrì: si mise in cammino e, tra il pomeriggio e la notte, fece a piedi i 52 km. Giunto di buon mattino, trovò che i fedeli facevano già ressa attorno al confessionale: senza prendere un momento di riposo, vi si chiuse, li confessò tutti, celebrò, fece una lunga predica e, dopo Messa, diede udienza a una fila interminabile di cristiani. Quindi partì, questa volta in automobile, per un villaggio distante tredici km.; confessò e cominciò alle 12,30 la seconda Messa binata, dopo la quale diede le solite udienze. Preso un boccone ritornò alla prima residenza, fece la spiegazione del catechismo, diede la benedizione e finalmente potè fare un po' di pranzo. Ma erano ormai le sedici. Uscì nuovamente di casa, andò a presiedere una riunione di cristiani e tornò alle 23: prese qualche cosa di freddo, che fu tutta la sua cena, e andò a riposare. 

È un fatto, scelto tra mille, che documenta il lavoro opprimente di quei nostri cari confratelli veramente instancabili. Sono pochi: i cristiani sono fervorosi e ogni volta che ascoltano la Messa fanno la Comunione, il che esige ore estenuanti di confessionale. Vi sono dei missionari che debbono visitare, periodicamente, 60, 80, 90 e fino a 110 cristianità disperse in località distanti fra loro per strade impervie, con viaggi faticosissimi. Vi è l'approccio dei pagani, la loro preparazione al battesimo, e le infinite assidue cure per mantenerli poi sul buon cammino; la formazione complessa dei catechisti, la corrispondenza coi benefattori, la propaganda per ottenere i mezzi necessari alla vita ed allo sviluppo delle opere. 

Donde un dispendio continuo di energie. Nè quando il corpo è sfinito il missionario si dà per vinto, ma fa appello al suo eroico spirito di abnegazione. Egli vive di sacrificio: l'ultima persona a cui pensa è la propria. «Tutto quello che hanno lo donano! - lamentava con me un nostro Ec.mo Vescovo. - Una volta diedi 60 scatole di chinino ad un missionario, malato di malaria; dopo 15 giorni non ne aveva più una: le aveva donate tutte! Gli tornò la febbre e non potè curarsi». 

La salute si direbbe esclusa dall'elenco delle loro preoccupazioni. Non pensano al vitto. Nelle escursioni missionarie mangiano quello che trovano: spesso del riso cotto in una canna di bambù, senza sale, senza condimento. Se viene loro offerto del denaro per comprarsi una cavalcatura o una bicicletta, continuano a viaggiare a piedi, e usano il denaro per accrescere il numero dei catechisti e dei maestri. 

Nell'Oriente abbiamo visto delle grandi miserie spirituali, ma abbiamo pur trovato delle grandi ricchezze spirituali; i nostri missionari hanno raggiunto un grado eminente di spirito di sacrificio, sono dei veri eroi. 

L'eroismo culminò nel martirio di Mons. Luigi Versiglia e di D. Caravario, trucidati dai pirati bolscevichi sulle sponde del Kuangshui. Ma è il pane quotidiano della vita di missione in cui ogni missionario immola tutto se stesso in un sacrificio perenne e dona agli altri quello che ha, riservando per sè solamente i disagi e le privazioni. 

I risultati. 

Quali i risultati di tanto lavoro? Nel 1922 non avevamo nell'Estremo Oriente che un incipiente Vicariato Apostolico, 5 case e qualche residenza, con 30 Salesiani. Dio li ha benedetti e moltiplicati prodigiosamente: in questi ultimi 15 anni, ecco in Oriente un'Archidiocesi, due Diocesi, un Vicariato Apostolico e due Prefetture Apostoliche. Le case dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice sono già 96 e i Missionari hanno raggiunto la cifra complessiva di 670. Non meno consolanti sono le statistiche dei cristiani: ne citerò solo una, quella della Diocesi di Shillong. Quando ci fu affidata quella Missione, non vi erano che 5.000 cristiani; oggi sono già 54.000 e il ritmo del movimento di conversione segna un crescendo meraviglioso. 

Le statistiche però celano il meglio: il fervore non comune di quelle cristianità. La loro vita religiosa è pervasa da una viva fede, che potenzia uno slancio e un trasporto ammirabile; ha tutta la tempra robusta del più fervido spirito cristiano e spira il profumo e l'aurea semplicità dei primi tempi della Chiesa. Non saprei meglio immaginare i cristiani dei primi secoli, i loro martiri, le loro vergini, che paragonandoli a quelli delle missioni che ho visitato. Hanno la docilità dei fanciulli, come vuole il Vangelo, e un affetto filiale per il missionario. 

Le comunità cristiane sono delle grandi famiglie nelle quali il sacerdote è veramente padre. Un semplice fatto, ancor scelto fra mille. In un villaggio dell'India un missionario celebrava la S. Messa; erano le otto del mattino. Giunto alla consacrazione, fu assalito da una febbre gagliarda. Alla comunione non potè consumare, si sentì venir meno, dovette sospendere la Messa e fu portato a letto. Privo dei sensi, rimase in quello stato fino alle 12; poi la febbre cominciò a diminuire. S'alzò e tornò in cappella per terminare il S. Sacrificio. Erano ormai le 13,30. Ebbene, qual non fu la sua sorpresa nel trovare ancora tutti i cristiani ad attendere pazientemente da oltre 5 ore, per poter fare la Comunione! Si comunicarono, poi continuarono a pregar lungamente, in un fervoroso ringraziamento.