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Padre Pietro Alagiani, zelante gesuita e cappellano militare inquadrato nell'Armata Italiana in Russia, dopo la lunga e disumana prigionia nelle mani dei sovietici rimase deluso quando, rientrato in Italia, vide che la gente era cambiata e che i comunisti nostrani diffondevano in abbondanza le proprie velenose dottrine. Una delle cose che lo fece soffrire maggiormente fu il vedere che in Parlamento sedevano anche persone che in Unione Sovietica avevano collaborato con il feroce e sanguinario regime stalinista, responsabile del trattamento inumano inflitto ai prigionieri di guerra, causando la morte a decine di migliaia di soldati italiani. Ecco cosa scrisse in proposito.
L'audacia dei comunisti.
Varcata la frontiera sovietica ed entrato nella libera e democratica Europa, noi credevamo che fosse per noi ormai per sempre sorpassato il triste periodo, in cui dovevamo essere forzati spettatori del ributtante spettacolo della spudoratezza comunista. Ma al primo contatto col mondo libero e girando gli occhi tutt'attorno sulla vita nazionale della nostra democratica Patria, purtroppo sentimmo un'opprimente e tormentosa depressione di spirito.
Quei comunisti che ove dominano non soffrono alcun'altra organizzazione accanto alla loro, qui, nella democratica Europa, godono un'illimitata libertà. Quei comunisti che ovunque prendono nelle proprie mani le redini del governo non permettono né l'esistenza, né la professione, né l'attività di qualunque altra ideologia non comunista, qui da noi usufruiscono al par d'ogni altro partito della piena e incontrollata libertà di parola, di stampa e di organizzazione! Quei comunisti, infine, che in casa loro soffocano inesorabilmente nel torrente di sangue e nell'oceano delle sofferenze dell'ergastolo ogni minima critica od anche una semplice osservazione sulla loro politica, qui nel mondo libero hanno a loro indisturbato servizio i comizi, i giornali ed anche i Parlamenti per gettare fango d'ingiurie e lordure di calunnie contro tutto ciò che non è aberrazione marxista o corruzione bolscevica!
Questa - ci si dirà, forse - è la normale e la più elementare concezione del sistema democratico. Sarà anche vero, non ne discutiamo...
Ma noi che abbiamo sofferto per dodici anni la tirannica condanna del regime comunista, noi che siamo i delegati di 75 mila connazionali, vittime innocenti di quel regime, noi che abbiamo visto e vissuto nella marea comunista di sciagure, colpevoli solo di tenerci fedeli alle nostre convinzioni e di ricusare in nome della libertà democratica - di sottometterci alle loro imposizioni politiche, noi, dico, non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo riconoscere il diritto di libertà ai comunisti, i quali misconoscono, calpestano e perseguitano l'idea stessa d'ogni libertà democratica!
Quale fu poi la nostra generale costernazione nel sapere che i volgari assassini dei prodi figli d'Italia, caduti nelle mani dei sovietici, i traditori della Patria in terra nemica e i nostri sfegatati aguzzini durante la prigionia si sono intrufolati nei nostri Parlamenti e Senati di millenaria civiltà, equità e legalità!
A tale patente ingiustizia, assurdità politica e mortale affronto a noi ed alla memoria dei nostri eroici commilitoni, noi non potremo mai rassegnarci.
Teniamo per certo che quel nobile braccio che ebbe la forza di cacciar via e tenere sempre lontano dal Governo tutto un partito, potrebbe e dovrebbe avere la virilità di trovare una via legale e costituzionale per chiudere le porte del Parlamento e del Senato, o, se già entrati, spazzar via quegli individui che si sono macchiati del mostruoso delitto di farsi gli aguzzini e gli assassini dei propri fratelli in prigionia.
È superflua ogni spiegazione o specioso commento! Sono insignificanti per noi tutti i segni di riconoscenza senza gli unici argomenti dei fatti e delle azioni!
La sfacciataggine dei comunisti nel mondo libero con lo esigere, usare ed abusare delle libertà politiche ch'essi a casa loro negano a tutti non ci sorprese, ma solo ci spinse allo sdegno non solo contro la spudoratezza dei comunisti ma anche contro quel nuovo ordine postbellico con cui si sosteneva la loro sfacciata disinvoltura trattandoli con tanto di guanti bianchi, quasi si volesse carezzare e fomentare la loro insaziabile voglia d'espansione mondiale per una schiavistica dominazione comunista.
Ma quello che ci sorprese dolorosamente al primo nostro orientarci nella vita pubblica del nostro paese, fu la constatazione della nefanda influenza conquistata dai comunisti nelle nostre campagne e nelle officine a forza di inganni, di illusorie promesse e alle volte anche di reale corruzione pecuniaria.
Oh! se i nostri contadini ed operai, caduti nelle reti dei rossi, sapessero, come abbiamo saputo ed esperimentato noi sulla nostra pelle per ben dodici anni, che cosa è il comunismo, certamente nessuno di loro sarebbe così pazzo e nemico di se stesso e, della propria famiglia, da voler rimanere anche un solo giorno sotto la loro influenza, oppure sostenere la delittuosa attività comunista anche con una sola parola!
Se quei pochi nostri intellettuali che si sono lasciati affascinare dalle teorie marxiste, avessero vissuto un solo anno in quel «paradiso sovietico», dove io ho vissuto e girato per ventitré anni ed avessero saputo in pratica che cosa è il regime comunista, non c'è dubbio che essi tutti diverrebbero accaniti anticomunisti, e forse - per un eccesso di reazione - finanche degli sfegatati fascisti!
Ciò avverrebbe senza fallo, poiché allora, e solo allora, i così detti comunisti nostrani d'ogni rango verrebbero a conoscere che il regime sovietico, in ultima analisi, non è altro che violenza, miseria e inganno.
[Brano tratto da "Le mie prigioni nel paradiso sovietico", di Padre Pietro Alagiani, S. J., Edizioni Paoline, imprimatur: e Vicariatu Urbis die 15 Apr. 1956, + Aloysius Traglia, Archiep. Caesarien. Vicesgerens].