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domenica 3 settembre 2023

Prova di amore

Dagli scritti di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena (1893 – 1953).


O Gesù crocifisso, degnati di farmi intendere come la Croce è la più grande prova di amore. 

1 - La Croce di Gesù, dopo l’Incarnazione, è la più grande prova di amore che Egli ha data agli uomini; così anche per noi la mortificazione, la sofferenza abbracciata spontaneamente per amor suo, è una delle più belle prove di amore che gli possiamo dare. Si tratta infatti di rinunciare liberamente ad una nostra soddisfazione, ad un nostro piacere per imporci per amor di Dio qualche cosa che ci dispiace e contraria; ciò dimostra chiaramente che preferiamo dar soddisfazione a Dio che a noi stessi. Ogni atto di mortificazione volontaria, sia fisica che morale, dice a Dio non con le parole, ma con i fatti: Signore ti amo più di me stesso! E siccome l’anima innamorata desidera vivamente dar prova del suo amore, è assai vigilante per non lasciarsi sfuggire nessuna occasione di rinuncia. 

In questo senso S. Teresa Margherita del Cuore di Gesù si era proposta di «non lasciar mai occasione che le si presentasse di patire più che poteva, sempre in silenzio fra sé e Dio» [...]. Il suo ardente amore per Iddio trovava uno sfogo in questo generoso e assiduo esercizio di mortificazione. 

Con altra espressione S. Teresa di G. B. chiamava questa pratica: «sparger fiori» ossia valersi di ogni minima occasione di sofferenza per dare a Dio una prova di amore. E, sapendo che il valore della mortificazione dipende dalle buone e generose disposizioni con cui si compie, la Santa diceva: «canterò anche quando dovrò cogliere i miei fiori in mezzo alle spine» (St. p. 241). 

2 - Il pregio della mortificazione volontaria consiste assai più nella buona volontà con cui si esercita, che non nell’intensità della sofferenza che uno s’impone; benché anche questa vi possa contribuire, nel senso che una mortificazione maggiore richiede maggiore buona volontà. 

La misura della sofferenza va saggiamente proporzionata, limitata secondo le forze fisiche di ciascuno; ma quello che non deve mai essere limitato è l’amore; lo spirito di generosità con cui compiere ogni atto di rinuncia. Sotto questo aspetto, vale assai più una lieve mortificazione compiuta con tutto l’amore di cui un’anima è capace, che non una gravosa penitenza compiuta materialmente, senza spirito interiore. Quindi, prima di fare un atto di mortificazione - soprattutto quando si tratta di certe pratiche abituali, come quelle che sono in uso negli Istituti religiosi - è necessario risvegliare la buona volontà, il sincero desiderio di soffrire volentieri qualche cosa per amore di Dio, affinché non accada di compiere degli atti più o meno meccanici e quindi di poco o di nessun valore. 

L’amorosa contemplazione del Crocifisso era l’anima di tutte le austerità di S. Teresa Margherita: «Questo Dio umiliato e penante, e sempre fra i suoi pensieri versato, era quello che le dava la forza interna per superare qualunque fortissima difficoltà, che le faceva assumere spontaneamente tante fatiche ed opere di carità e di mortificazione, che la rendeva insaziabile nel patire» (Sp. p. 126). 

Contemplando il Crocifisso l’anima sente che, per quanto si mortifichi per amor suo, i suoi sacrifici, le sue rinunce, sono un nulla e, anziché concepire sentimenti di vana compiacenza per le mortificazioni compiute, sente il bisogno di umiliarsi e di fare sempre di più. «Ama molto i patimenti - insegna S. Giovanni della Croce - e stimali ben poca cosa per entrare nella grazia dello Sposo, il quale non ha dubitato di morire per te» (AM. II, 15). 

Colloquio - [...] «O Signore, disponi di me come più ti aggrada, ché di tutto sono contenta, purché ti segua per la via del Calvario, e quanto più la troverò spinosa e la croce pesante, tanto più ne resterò consolata, poiché desidero amarti con amore paziente, con amore morto, cioè a dire tutto rilassato in te e con amore operativo… Signore mio, Tu in croce per me ed io in croce per te. Oh, se una volta potessi intendere quanto è dolce e quanto vale il patire: patire e tacere per te, o Gesù! O caro patire, o buon Gesù! » (T.M. Sp. p. 325 e 361). Sì, caro patire perché mi permetti di dare al mio Dio prove di amore, perché, nell’oscurità della fede, in cui devo vivere quaggiù, mi dai la sicurezza di amare non a parole, ma con amore sodo, effettivo. O Gesù, ora comprendo perché Teresa d’Avila non ti chiedeva che una cosa: «O morire o patire» e diceva di non aver altro motivo di vivere se non quello di soffrire per amor tuo (Vi. 40, 20). 

O Signore, potessi avere anch'io un amore così forte, così vero, così ardente! Concedimelo Tu, che tutto puoi darmi e che puoi in un istante trasformare in una fornace di carità questo mio cuore così arido e così freddo. 


[Scritto tratto da “Intimità Divina”, di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena, pubblicato dal Monastero S. Giuseppe delle Carmelitane Scalze di Roma, imprimatur: Vicetiae, 4 martii 1967, + C. Fanton, Ep.us Aux.].


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