Dagli scritti di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena (1893 – 1953).
Infiammami, o Signore, col tuo santo zelo affinché non sappia tollerare in me la più piccola cosa che ti dispiaccia.
1 - Benché in materia più lieve, anche il peccato veniale, come quello mortale, va contro la volontà di Dio e quindi, pur non distruggendo la carità, va in direzione opposta ad essa, con la conseguenza di diminuirne lo slancio, il vigore e di impedirne lo sviluppo. Questo è il disastroso effetto dei peccati veniali deliberati, ossia commessi ad occhi aperti, pur sapendo di far cosa che dispiace a Dio.
Tale specie di peccati veniali, quando sono commessi abitualmente, diminuiscono la tendenza dell’anima verso Dio e invece aumentano la tendenza verso la soddisfazione egoistica, verso le creature. E così, un po’ alla volta, l’anima perde il fervore, perde la sensibilità all’offesa di Dio e si riduce allo stato di tiepidezza, caratterizzato appunto da una certa indifferenza per il peccato veniale; indifferenza che la mette in pericolo di offendere Dio anche in materia grave. È in questo senso che il peccato veniale può essere paragonato ad una malattia sottile, insidiosa - una specie di tubercolosi spirituale - che lentamente, ma fatalmente, mina l’organismo. Non è raro il caso di anime che, datesi in principio a Dio con sincero fervore, col passare del tempo, cedendo all’egoismo, alla pigrizia, al proprio comodo, non sapendo imporsi sforzi generosi per procedere nel cammino intrapreso, si lasciano andare a continue negligenze, svogliatezze, omissioni volontarie, atti di pigrizia. La loro vita spirituale si riduce ad una specie di letargo che non è ancora la morte, ma che non ha più nulla della freschezza, del vigore di una vita sana e robusta. Manca il fervore della carità, spento da continue, deliberate condiscendenze al peccato veniale.
S. Teresa di Gesù, mettendo in guardia da simile stato, insegna: «Quando non sentite alcuna pena per un difetto che vi succede di commettere, temete, perché il peccato, sia pur veniale, vi deve penetrare di dolore fino al profondo dell’anima... Per amore di Dio, vegliate attentamente a non mai commettere un sol peccato veniale avvertito, ancorché piccolo... E che cosa vi può mai essere di piccolo nell’offesa di una Maestà così grande?» (P. 2, 5 e 20; Cam. 41, 3).
2 - Ben diversi sono i peccati veniali che ci sfuggono per fragilità, per inavvertenza. Spesso l’anima non vorrebbe cedere a nessun costo, ma poiché è ancora debole, al momento della tentazione, soprattutto se è colta di sorpresa, cade; tuttavia, appena se ne avvede, ne prova un sincero dolore, subito se ne pente, domanda perdono al Signore, si rialza e si mette di nuovo in cammino. Tali peccati non portano gran danno all’anima, ma sono piuttosto indice della sua debolezza, della sua immaturità spirituale. Anzi, se di fronte a tali cadute l’anima sa umiliarsi sinceramente, ne ricava un vero vantaggio, e precisamente una più profonda coscienza della sua miseria che la porterà a diffidare totalmente delle proprie forze, per riporre in Dio solo tutta la sua fiducia. Sperimenterà in pratica la grande realtà delle parole di Gesù: «Senza di me, non potete far nulla» (Gv. 15, 5). Non di rado il Signore permette simili cadute, appunto per dare all’anima questa conoscenza pratica del suo nulla, per fondarla seriamente nell’umiltà, che è la base di ogni vita spirituale.
S. Teresa di G. B., parlando di tali mancanze, credeva di poter asserire che «non fanno dispiacere al Signore», appunto perché non dipendono dalla cattiva volontà di chi, ad occhi aperti e a mente fredda, commette il peccato, ma piuttosto dalla debolezza della natura umana.
Se per la nostra debolezza è impossibile non cadere ogni giorno in piccole venialità di sorpresa o di fragilità, l’importante è saperle subito detestare e riparare generosamente. Ma quanto ai peccati veniali avvertiti, l’anima deve essere ben decisa a non commetterne mai per tutto l’oro del mondo.
[Scritto tratto da “Intimità Divina”, di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena, pubblicato dal Monastero S. Giuseppe delle Carmelitane Scalze di Roma, imprimatur: Vicetiae, 4 martii 1967, + C. Fanton, Ep.us Aux.].
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