Di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932)
Stato della questione. Per ben risolvere questo problema, cominciamo con determinar lo stato della questione:
Stato della questione. Per ben risolvere questo problema, cominciamo con determinar lo stato della questione:
1° Nell'ordine naturale un essere è perfetto (perfectum) quando è finito e compito, e quindi quando consegue il suo fine: "Unumquodque dicitur esse perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est ultima rei perfectio". Questa è la perfezione assoluta; ve n'è però un'altra, relativa e progressiva, che consiste nell'avvicinarsi a questo fine, sviluppando tutte le proprie facoltà e praticando tutti i propri doveri secondo le prescrizioni della legge naturale manifestata dalla retta regione.
2° Il fine dell'uomo, anche nell'ordine naturale, è Dio. 1) Creati da Lui, siamo necessariamente creati per Lui, poichè è chiaro che non può Dio trovare un fine più perfetto di Sè, essendo la pienezza dell'Essere; e d'altra parte creare per un fine imperfetto sarebbe indegno di Lui. 2) Di più, essendo Dio la perfezione infinita e quindi la fonte di ogni perfezione, l'uomo è tanto più perfetto quanto più s'avvicina a Lui e ne partecipa le divine perfezioni; ecco perchè il cuore umano non trova nelle creature nulla che possa soddisfarne le legittime aspirazioni: "Ultimus hominis finis est bonum increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest voluntatem hominis perfecte implere". A Dio quindi convien rivolgere tutte le nostre azioni; conoscerlo, amarlo, servirlo, e così glorificarlo, tal è il fine della vita e la fonte d'ogni perfezione.
3° Il che è anche più vero nell'ordine soprannaturale. Gratuitamente elevati da Dio ad uno stato che supera le nostre esigenze e le nostre possibilità, chiamati a contemplarlo un giorno con la visione beatifica e possedendolo già con la grazia, dotati di un intiero organismo soprannaturale per unirci a Lui con la pratica delle virtù cristiane, è chiaro che non possiamo perfezionarci se non avvicinandoci continuamente a Lui. E non potendo far questo senza unirci a Gesù, che è la via necessaria per andare al Padre, la nostra perfezione consisterà nel vivere per Dio in unione con Gesù Cristo: "Vivere summe Deo in Christo Jesu". Il che facciamo praticando le virtù cristiane, teologali e morali, che tutte hanno per fine di unirci in modo più o meno diretto a Dio, facendoci imitare N. S. Gesù Cristo.
4° Sorge quindi la questione di sapere se, tra queste virtù, non ve ne sia una che compendi e contenga tutte le altre, e costituisca, a così dire, l'essenza della perfezione. S. Tommaso, sintetizzando la dottrina della S. Scrittura e dei Padri, risponde affermativamente e c'insegna che la perfezione consiste essenzialmente nell'amor di Dio e del prossimo amato per Dio: "Per se quidem et essentialiter consistit perfectio christianæ vitæ in caritate, principaliter quidem secundum dilectionem Dei, secundario autem secundum dilectionem proximi". Ma, poichè nella vita presente l'amor di Dio non può praticarsi senza rinunziare all'amore disordinato di se stessi, ossia alla triplice concupiscenza, in pratica all'amore bisogna aggiungere il sacrificio. Questo verremo esponendo col dimostrare:
1) come l'amor di Dio e del prossimo costituisca l'essenza della perfezione;
2) perchè quest'amore debba giungere fino al sacrifizio;
3) in che modo si debbano conciliare questi due elementi;
4) come la perfezione abbracci insieme precetti e consigli;
5) quali ne siano i gradi e fin dove possa arrivare sulla terra.
L'essenza della perfezione consiste nella carità.
Spieghiamo anzitutto il senso della tesi. L'amore di Dio e del prossimo, di cui trattiamo, è soprannaturale nel suo oggetto come nel suo motivo e nel suo principio. Il Dio che noi amiamo è il Dio manifestatoci dalla rivelazione, il Dio della Trinità; e l'amiamo perchè la fede ce lo mostra infinitamente buono e infinitamente amabile; l'amiamo con la volontà perfezionata dalla virtù della carità e aiutata dalla grazia attuale. Non è dunque un amore di sensibilità; è vero che, essendo l'uomo composto d'anima e di corpo, spesso si mescola ai nostri più nobili affetti un elemento sensibile; ma un tal sentimento manca talora intieramente, e in ogni caso è del tutto accessorio. L'essenza stessa dell'amore è la dedizione, è la volontà ferma di darsi e, occorrendo, d'immolarsi intieramente per Dio e per la sua gloria, di preferire il suo beneplacito al nostro e a quello delle creature.
Conviene dire altrettanto, salve le proporzioni, dell'amor del prossimo. In lui amiamo Dio, un'immagine, un riflesso delle sue divine perfezioni; il motivo quindi che ce lo fa amare è la bontà divina in quanto è manifestata, espressa, irradiata nel prossimo; o, in parole più intelligibili, noi vediamo e amiamo nei nostri fratelli un'anima abitata dallo Spirito Santo, ornata della grazia divina, riscattata dal sangue di Gesù Cristo; e amandola, ne vogliamo il bene soprannaturale, lo spirituale perfezionamento, la salute eterna.
Non vi sono quindi due virtù di carità, l'una verso Dio e l'altra verso il prossimo; ve n'è una sola che abbraccia insieme Dio amato per se stesso e il prossimo amato per Dio.
Con queste nozioni ci sarà facile intendere come la perfezione consiste proprio nella virtù della carità.
[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Desclée & Co., 1928]