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venerdì 11 agosto 2023

La lotta contro l'orgoglio

Dagli scritti di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932).

"L'orgoglio, dice Bossuet, è una depravazione più profonda; per esso l'uomo, abbandonato a se stesso, nell'eccesso dell'amor proprio considera sè come proprio Dio". Dimenticando che Dio è il suo primo principio e il suo ultimo fine, stima eccessivamente se stesso, e le proprie doti vere o pretese riguarda come fossero sue senza riferirle a Dio. Di qui quello spirito d'indipendenza o d'autonomia che lo spinge a sottrarsi all'autorità di Dio e dei suoi rappresentanti; quell'egoismo che lo inclina ad operare per sè come se fosse fine a se stesso; quella vana compiacenza che si diletta nella propria eccellenza, come se Dio non ne fosse l'autore, che si compiace nelle proprie buone opere, come se esse non fossero prima di tutto e principalmente il risultato dell'azione divina in noi; quella tendenza ad esagerare le proprie doti, ad attribuirsene di quelle che non si posseggono, a preferirsi agli altri, e talvolta anche a disprezzarli, come faceva il Fariseo.

A quest'orgoglio s'aggiunge la vanità, che ci fa cercare in modo disordinato la stima altrui, la loro approvazione, le loro lodi: che si chiama anche vana gloria. [...] Strana cosa davvero! ci diamo più pensiero della stima degli uomini che della stessa virtù, e si rimane più umiliati d'un granchio preso in pubblico che d'una colpa segreta. Quando uno si abbandona a questo difetto, non tarda a commetterne altri: la millanteria, che inclina a parlar di sè e dei proprii trionfi; l'ostentazione, che cerca d'attirare l'attenzione pubblica col lusso e col fasto; l'ipocrisia, che simula le apparenze della virtù senza darsi pensiero d'acquistarla.

Gli effetti dell'orgoglio sono deplorevoli: è il gran nemico della perfezione: 1) perchè ruba a Dio la sua gloria e ci priva quindi di molte grazie e di molti meriti, non volendo Dio esser complice della nostra superbia: "Deus superbis resistit"; 2) è fonte di numerosi peccati, peccati di presunzione puniti con lagrimevoli cadute, come vizi odiosi; di scoraggiamento quando si vede d'essere caduti così in basso; di dissimulazione, perchè rincresce confessare i proprii disordini; di resistenza ai superiori, d'invidia e di gelosia verso il prossimo, ecc.

B) Il rimedio è: a) riferire tutto a Dio, riconoscendo che egli è l'autore di ogni bene e che, essendo il primo principio delle nostre azioni, ne deve pur essere l'ultimo fine. È ciò che suggerisce S. Paolo: " [...] Che hai tu che non abbi ricevuto? e se l'hai ricevuto, perchè te ne glorii come se non l'avessi in dono?". Onde conchiude che tutte le nostre azioni devono tendere alla gloria di Dio [...]. E per dar loro maggior valore, procuriamo di farle in nome, nella virtù di Gesù Cristo: "[...] qualunque cosa da voi si faccia in parola o in opera, fate tutto nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo suo".

b) E poichè la natura costantemente ci porta a cercar noi stessi, per reagire contro questa tendenza, bisogna ricordarci che da noi non siamo che nulla e peccato. È vero che ci sono in noi delle buone qualità naturali e soprannaturali che bisogna altamente stimare e coltivare; ma, venendoci queste qualità da Dio, non ne dobbiamo forse glorificar lui? Quando un artista ha fatto un capolavoro, non è forse lui, e non la tela, che si deve lodare?


[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey, trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Desclée & Co., 1928].