L'indomani sul far del giorno, vide entrare nella sua stanza una giovane tutta vestita di bianco, con un contegno di bella modestia, che le chiede se è contenta di ricevere i suoi servizi e d'essere curata da lei. L'inferma, felice per questa offerta, risponde che niente le tornerà più gradito, e tosto la forestiera accende il fuoco, s'accosta ad Uga, dolcemente la ripone nel suo letto; poscia comincia a vegliarla e servirla come farebbe la più affezionata infermiera. Cosa meravigliosa! Il contatto delle mani di quella sconosciuta fu tanto benefico, che la moribonda se ne trovò grandemente sollevata e ben tosto si sentì interamente guarita. Allora essa volle assolutamente sapere chi fosse l'amabile sconosciuta, e la chiamò per interrogarla; ma questa si allontanò dicendo che ritornerebbe alla sera. Intanto lo sbalordimento, la curiosità furono estremi, quando si seppe di quella subitanea guarigione, e nella città di Dòle non si parlava che del misterioso avvenimento.
Quando la sconosciuta ritornò alla sera, disse ad Uga Roy, senza più cercare di nascondersi: «Sappiate, mia cara nipote, che io sono la vostra zia Leonarda Collin, morta da diciassette anni, lasciandovi erede della poca mia sostanza. Grazie alla divina bontà, io sono salva, e di tanta felicità sono debitrice alla Santa Vergine Maria, per la quale ebbi una grande divozione. Senza di lei io sarei perduta. Quando subitamente mi colpì la morte, era in peccato mortale, ma la Vergine misericordiosa in quel momento mi ottenne una perfetta contrizione, e così mi scampò dall'eterna dannazione. D'allora in poi io sono nel Purgatorio, ed il Signore mi permette di venire a compiere la mia espiazione servendovi per quaranta giorni. Terminato questo tempo, sarò liberata dalle mie pene se da parte vostra avrete la Carità di fare per me tre pellegrinaggi a tre santuari della Santa Vergine».
Uga, sbalordita, non sapendo che pensare di questo linguaggio, non potendo credere alla realtà di quella apparizione e temendo qualche insidia dello spirito maligno, consultò il suo confessore, il P. Antonio Rolland, gesuita, che la consigliò a minacciare alla sconosciuta gli esorcismi della Chiesa. Questa minaccia non la inquietò: tranquillamente disse che non temeva gli esorcismi della Chiesa. «Essi hanno forza, aggiunse, contro i demoni ed i dannati, ma nessuna contro le anime predestinate ed in grazia di Dio, come sono io». - Uga non era convinta. «Come mai, chiese alla giovane, potete essere la mia zia Leonarda? Questa era vecchia, debole, spiacevole e bisbetica, mentre voi siete giovane, dolce ed amabile. - Ah! mia nipote, rispose l'apparsa, il vero mio corpo si trova nella tomba, ove rimarrà fino alla risurrezione; quello che voi vedete è un altro corpo, miracolosamente formato dall'aria, per darmi modo di parlarvi, di servirvi e d'avere i vostri suffragi. Quanto al mio carattere difficile, collerico, diciassette anni di terribili sofferenze ben m'insegnarono la pazienza e la dolcezza. D'altronde, sappiate che in Purgatorio si è confermati in grazia, segnati col sigillo degli eletti, e perciò stesso esenti da ogni vizio».
Dopo tali spiegazioni, non era più possibile la incredulità. Uga, meravigliata al tempo stesso e riconoscente, con tutta contentezza ricevette i servizi che le erano resi durante i segnati quaranta giorni. Dessa sola poteva vedere ed udire la defunta, che veniva a certe ore e tosto scompariva. Appena le sue forze lo permisero, con tutta la divozione compì i pellegrinaggi che erano stati richiesti.
Al termine dei quaranta giorni, cessarono le apparizioni. Leonarda si mostrò un'ultima volta per annunziare la sua liberazione; allora trovavasi in uno stato d'incomparabile gloria, scintillante come un astro, e portava sul viso l’espressione della più perfetta beatitudine. Alla sua volta testificò alla nipote la propria riconoscenza, le promise di pregare per lei, per tutta la sua famiglia, e la impegnò a ricordarsi sempre, in mezzo alle pene della vita, del fine supremo di nostra esistenza, che è la salute dell'anima.
[Brano tratto da “Il dogma del Purgatorio”, di Padre Francesco Saverio Schouppe, traduzione di Don Antonio Buzzetti, tipografia e libreria San Giuseppe degli artigianelli, Imprimatur: Taurini, die 7 Aprilis, 1932, Can. Franciscus Paleari, Provic. Gen.].