Tommaso Moro, gran cancelliere di Inghilterra, rigettava senza riguardo alcuno le proposte del suo re, che voleva separarlo dalla Chiesa cattolica. Per la qual cosa Arrigo VIII lo fece chiudere in prigione, minacciando la morte al suo ministro, se egli non si piegava a rinnegare la Religione di Roma, ed a riconoscere lo scisma. Ma il Moro non si spaventò a tali minacce, risoluto com'era, a sacrificar la vita piuttosto che i doveri di coscienza. Già da quattordici mesi egli languiva nel carcere, quando ad ora insolita sentì stridere i catenacci della prigione e aprirsi le porte. Un brivido gli corse per le ossa; credeva fosse il carnefice: invece vi entrava una donna piangente accompagnata da due fanciulli. Quale vista dolorosa! I bamboli corrono ad abbracciare le ginocchia del prigioniero: erano i suoi figli; e la donna gettandosi tra le braccia di lui: - O marito, gli disse, o parte del mio cuore, e ti basterà l'animo di veder tua moglie così desolata, di lasciare questi tuoi figli coperti di onta e disonore? Una volta ancora Arrigo ti concede la grazia, accetta per pietà i patti suoi, avrai salva la vita.
L'illustre prigioniero alza gli occhi al cielo, una lagrima involontaria gli bagna le guance, le sue mani vanno come per istinto a posarsi e confondersi nei biondi capelli dei suoi figli e prega ... Indi rivolto alla moglie, che dirottamente piangeva, le disse: - Luigia mia, quanto tempo potremo noi vivere ancora insieme? - Dieci, venti, forse anche trenta anni. - E per venti o trenta anni di vita, vuoi tu ch'io rinunzi un'eternità?
Fermo quindi e costante nei suoi doveri verso la Chiesa, egli lasciava il capo sotto la scure del carnefice il 5 luglio del 1535 cominciando quella beata eternità, che non volle cambiare con pochi anni di questa misera vita.
