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mercoledì 28 febbraio 2024

Ritorno in Patria dopo la prigionia in Unione Sovietica

Nell'estate del 1946 Padre Guido Maurilio Turla (1910-1976), cappellano militare degli alpini, e un gruppo di commilitoni sopravvissuti alla brutale prigionia nei gulag stalinisti, tornarono in Patria. Quante lacrime di commozione versarono i nostri reduci dopo aver finalmente attraversato il confine di Tarvisio! Ecco il racconto di Padre Turla.


7 luglio 1946

[Dall'Austria, n.d.r.] Abbiamo viaggiato ottimamente fino a Tarvisio. Qui ci saluta il tricolore italiano. Un grido di entusiasmo e di amore si eleva: «Italia! Italia!». Tutti sono ai finestrini, ogni sguardo è rivolto alla bandiera. [...] Appena la tradotta si ferma, tutti scendiamo, abbracciandoci l’un l’altro. I volti sono rigati di lacrime; molti di noi baciano la terra della patria. Liberi finalmente i figli di questa santa Italia, quelli che non l’hanno tradita nei giorni della sofferenza disperata [...].


8 luglio 

A Udine, calorose accoglienze della popolazione, convenuta numerosa alla stazione, per abbracciare i propri cari redivivi, dopo anni di silenzio. Il governo italiano non ha inviato sue rappresentanze [...]. L’unico valido conforto ci viene dalla commissione di assistenza pontificia con generi alimentari, medicine e premurose attenzioni agli ammalati trasportati in autoambulanza all’ospedale.

A nome di tutti gli ufficiali invio al papa [Pio XII, n.d.r.] un telegramma di ringraziamento. La magnanimità di colui che è padre di tutti, particolarmente di coloro che soffrono, ci fa sentire vicina la fiamma incandescente dell’amore che solo da Roma si diffonde. Quell’onda di umanità e di calore, che ci avvolge dopo tanti anni di gelo, ci riporta alla vita.

Siamo a Padova nel pomeriggio dell’otto luglio. Alla stazione ci attende una manifestazione studentesca, promossa dagli universitari padovani, convenuti a manifestare entusiasti con centinaia di vessilli goliardici e tricolori italiani. [...] Si forma poi un corteo, che accompagna i reduci di Russia all’università per rendere omaggio ai caduti universitari. La città di Padova esprime riconoscenza ai combattenti del fronte russo, gettando fiori e volantini tricolori sul corteo, che transita per le vie tra il popolo plaudente. Dopo la breve cerimonia alla memoria dei caduti, nel cortile dell’università, un nostro ufficiale, del gruppo «illuminati» [cioè coloro che durante la prigionia divennero spie e collaborazionisti dei sovietici, n.d.r.], ritratta pubblicamente la sua condotta e denuncia al popolo italiano la pericolosità dei compagni comunisti.

A Verona, Brescia, Bergamo, medesime accoglienze. I cappellani militari sono presi d’assalto da familiari, che implorano notizie dei loro cari dispersi. Il treno giunge a Milano un minuto dopo la mezzanotte, il 9 luglio. La stazione è semideserta; vi sono solo i parenti interessati. Tra scene commoventi di baci e lacrime, io debbo trovare parole valide a dar rassegnazione ai coniugi Fant di Milano, che provano una immensa delusione. Per una falsa omonimia attendono il loro figliolo, capitano Emilio Fant, il quale purtroppo non ha fatto ritorno in patria.

Espletate presso il comando tappa le formalità, i reduci si abbracciano prima di separarsi. In noi vive imperituro quest’attimo di gioia: «Siamo a casa!».

Il triste passato è un lugubre incubo finito. Solo il ricordo dei compagni scomparsi nella bufera del fronte e delle epidemie, abbandonati senza una croce, perduti nella malinconica steppa, ci preme sul cuore. Sulle nostre labbra torna la preghiera: «Dona ad essi, o Signore, la pace!»


[Brano tratto dal libro intitolato “Sette rubli per il cappellano”, scritto dal sac. Guido Maurilio Turla, edito da Longanesi].


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