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mercoledì 22 maggio 2024

Episodi di eroica fratellanza in battaglia

La guerra è un male gravissimo che bisogna cercare di evitare il più possibile. Il Magistero perenne della Chiesa insegna che solo in casi estremi e a determinate condizioni è lecito guerreggiare. Spesso in battaglia si scatenano gli istinti più beceri e si rischia di farsi dominare dell'egoismo, pensando solo a salvare la propria pelle, disinteressandosi del prossimo. Ma non sempre è così. Ci sono dei casi in cui i combattenti, con fulgido eroismo, hanno messo a repentaglio la propria vita pur di aiutare altre persone.

Don Guglielmo Biasutti, cappellano militare della Legione “Tagliamento”, nel libro “Nel nostro cimitero di guerra di Mikailovka”, tra le tante altre cose racconta alcuni episodi di altruismo che mi hanno colpito, visto che viviamo in una società in cui dilagano l’egoismo e l’ingratitudine. I seguenti fatti avvennero durante la “Battaglia di Natale” del 1941, quando le truppe di Stalin sferrarono un’offensiva contro gli italiani.

Una mattina il “caposquadra” (grado che nella legione equivaleva a quella di “sergente” nell’esercito) Ezio Pelati era stato ferito. Il legionario Giuliano Palmieri si dimostrò suo fedelissimo amico rimanendo al suo fianco. Quando nella tarda mattinata arrivò l’ordine di sfollare i feriti, Palmieri si incamminò sorreggendo il suo amico ferito. Dopo aver attraversato un boschetto furono colpiti e morirono. Forse Palmieri avrebbe agevolmente potuto mettersi in salvo se fosse stato solo, senza il peso del ferito, ma evidentemente non se la sentì di abbandonare il suo caro amico. I corpi dei due cadaveri rimasero immersi nella neve. Dopo il disgelo, avvenuto alcuni mesi più tardi, Don Guglielmo Biasutti lì ritrovò ed erano ancora abbracciati. Qualche anno dopo, mentre la guerra era ancora in corso, Don Biasutti, rientrato in Patria, tenne una conferenza a Correggio (Reggio Emilia) durante la quale parlò dei caduti e raccontò, tra le altre cose, anche l’episodio di amicizia fino alla morte dei legionari Pelati e Palmieri. Al termine della conferenza due giovani donne vestite a lutto si avvicinarono al prete, il quale domandò chi fossero. Gli risposero: «Siamo le mogli di Pelati e di Palmieri». A Don Biasutti gli si strinse il cuore e, senza sapere bene il perché, chiese: «E vi volete bene?». Le giovani vedove si abbracciarono piangendo e risposero: «Come loro!», lasciando intendere che anche tra loro due c’era un forte legame d’amicizia simile a quello che c’era stato tra i loro mariti caduti sul fronte orientale.

Anche il legionario Mario Losi, mentre si stava avviando verso Mikailowka sorreggendo un commilitone ferito, venne ucciso. Secondo Don Biasutti, se fosse stato un uomo pavido o egoista, si sarebbe salvato, invece morì a causa di quella sua dedizione fraterna verso un ferito.

Un altro episodio che mi ha colpito è il seguente. Il legionario Virginio Codogni era rimasto ferito alle gambe, pertanto gli vennero tolti i pantaloni per effettuare le prime medicazioni. Visto che i combattimenti infuriavano, un commilitone, il cui nome è ignoto, prese il ferito sulle spalle e si incamminò per portarlo all’infermeria del battaglione. Ecco come Don Biasutti prosegue il racconto: “Quel pietoso soccorritore riuscì a passare il boschetto; ma subito dopo una raffica gli uccise sulle spalle il ferito, che scivolò al suolo. Non sappiamo che cosa sia avvenuto dopo. Ma io trovai il Codogni ben composto nella neve: e sulle gambe ignude era stesa un'altra giacca, quella del soccorritore, come se avesse voluto vincere il freddo della stagione e della morte col caldo dono dell'amicizia. Pensate un po' a quello sconosciuto legionario, che se ne va in prigionia in maniche di camicia per un gesto squisito di carità verso il cadavere dell'amico caduto!”.

Lasciò un bel ricordo di sé anche il portaferiti Agostino Martini, il quale durante le battaglie si lanciava con ardimento a recuperare i commilitoni feriti. Ecco come lo descrive Don Biasutti: “Un portaferiti eroico. Sordo alle mitragliate ed alle cannonate nemiche, sentiva soltanto il richiamo dei compagni colpiti. [...] Quando per l'ennesima volta si lanciò senza timore e senza riposo, a compiere il pietoso dovere, la morte lo fermò. Solo la morte lo poteva fermare”

Un altro fatto di altruismo patriottico. Un folto gruppo di legionari era disceso in una sorta di “canalone naturale” con l’intenzione di giungere a Mikailowka. Camminavano in ordine sparso e ben distanziati onde poter salvarsi nel maggior numero possibile qualora un colpo di mortaio sovietico li avesse colpiti. Quel giorno era in corso una bufera di neve, pertanto c’era un forte rischio di perdersi. Inoltre non si sapeva esattamente dove fossero gli italiani e dove i sovietici. Purtroppo qualche legionario finì per sbaglio tra i sovietici e venne preso prigioniero. Gli altri, giunti al termine del canalone, videro in lontananza alcune persone muoversi, ma non si capiva se fossero militari italiani oppure dell’Armata Rossa. Qualcuno disse: "Sono i bersaglieri", ma qualche altro esclamò: "No. Fate attenzione che sono russi". In realtà non si riusciva a distinguere chi fossero. Quindi i legionari si acquattarono tra i cespugli e si misero ad osservare. Dopo un po’ di incertezza capirono che erano proprio i sovietici, i quali, pensando di non essere stati riconosciuti, con le braccia facevano cenni di andare da loro. Gli italiani videro che tra i sovietici c’era un soldato con un’altra divisa, presumibilmente si trattava di un legionario preso prigioniero, il quale, se fosse rimasto fermo, probabilmente avrebbe salvato la pelle, invece cominciò ad agitare una mano come per ammonire: "Non venite, non venite!". Venne pugnalato e cadde sulla neve, ma il suo gesto altruistico servì a salvare la vita ai suoi commilitoni, i quali riuscirono a ricongiungersi al proprio reparto. Don Biasutti non fu presente a questo episodio ma, successivamente, dopo averne sentito il racconto, passò diverse volte per quel luogo e sempre gli tornò in mente il gesto eroico di quel legionario che agitando la mano sacrificò la sua vita per avvisare i suoi commilitoni di non andare lì perché sarebbero finiti tra i sovietici.

Per finire racconto un ultimo fatto accaduto sempre in occasione della “Battaglia di Natale” del 1941. Un legionario ferito a Novaja s'incamminò verso Mikailowka, dove c’era un caposaldo italiano. A un certo punto si trovò sotto il tiro dei sovietici. Il legionario era nei guai, ma all’improvviso gli spuntò accanto un soldato russo che gli salvò la vita, infatti lo prese sottobraccio e coi gesti gli fece capire che per salvarsi doveva prendere un'altra via. E così, legionario e soldato russo, attraverso la steppa innevata, si avviarono sottobraccio verso le linee italiane. Non sappiamo per quale motivo quel soldato dell’Armata Rossa mise a repentaglio la propria vita per salvare un italiano. Io suppongo che fosse un cristiano che non voleva combattere per l’URSS, perché sapeva che se avesse vinto Stalin avrebbe vinto l’ateismo e sarebbe continuata la feroce persecuzione contro i seguaci di Cristo, mentre nei territori controllati dalle truppe italiane i russi potevano riaprire le chiese e rendere culto a Dio. Comunque sia, mentre i due erano ormai quasi giunti alle linee italiane, una raffica sparata dai sovietici colpì il russo, il quale cadde a terra. Il legionario, nonostante fosse ferito, cercò di soccorrerlo, ma il russo gli fece capire di lasciarlo perdere e di mettersi in salvo da solo, visto che ormai le linee italiane erano molto vicine. Dato che nel mondo c’è tanta ingratitudine, tanti altri, se fossero stati nei panni di quel legionario, avrebbero abbandonato lì il russo e si sarebbero messi in salvo da soli. Ma il legionario non se la sentì di abbandonare nella neve e a morte sicura colui che gli aveva salvato la vita. Nonostante anche lui fosse ferito e stremato, con le residue forze rimastegli prese il russo sulle spalle e lo portò in salvo. Don Biasutti termina il racconto con queste parole: “Ed entrarono così l'italiano ed il russo, nell'infermeria di Mikailowka, sorreggendosi fraternamente a vicenda”.