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giovedì 22 settembre 2022

Feriti che soffrivano pazientemente

Dagli scritti del Beato Carlo Gnocchi (1902-1956), cappellano militare del Battaglione alpini "Val Tagliamento" sul fronte greco-albanese e della Divisione alpina "Tridentina" sul fronte russo.


Siamo al fronte, durante l’azione bellica. Nevica. I feriti affluiscono numerosi dalla linea del fuoco alla tenda di prima medicazione. Ce n’è uno, deposto in barella sulla neve, che aspetta fuori e si lamenta monotono, a intervalli, forse più per il freddo che per la ferita. Allora esce il Cappellano. «Abbi pazienza, figliuolo: fra poco siamo anche da te... Pensa un po’ al Signore sulla Croce...». 

Il ferito china lo sguardo mortificato e mormora confusamente: «Avete ragione, signor Tenente». [I cappellani militari italiani sono degli ufficiali e, come minimo, hanno il grado di tenente, n.d.r.] Poi si tira addosso la coperta e non parla più, per quanto l’attesa duri ancora a lungo. 

Un altro. Lo portavan giù sulla barella, di notte, lungo il dorso viscido e dirupato della montagna. Ogni tanto i portaferiti, spossati, perdevano l’equilibrio, slittavano e pareva dovessero stramazzare col loro carico doloroso. Ma lui, il ferito, un addominale gravissimo, non pensava che ai compagni. A ogni passo falso stringeva i denti, sporgeva ansioso il capo dall’orlo della barella e continuava a dire: «Basta ragazzi. Lasciatemi qui. Continueremo domani mattina. Così finirete per farvi del male...». Ma quelli non davano retta e badavano a tirare innanzi affannosamente. Allora il ferito parve adattarsi e, con voce velata, mormorò: «Grazie, ragazzi. Penserà il Signore a ricompensarvi». E cominciò a pregare silenziosamente.


[Brano tratto da "Cristo tra gli alpini", di Don Carlo Gnocchi, casa editrice "La Scuola"].