Dagli scritti del Cardinale Giuseppe Siri (1906-1989).
Per fare dell'ecumenismo serio bisogna conoscere bene la teologia. Uscendo da questa, diventano facili tutte le deformazioni o distruzioni, iniziate con termini che possono anche in un primo momento non destare orrore. L'ecumenismo è una cosa troppo seria per lasciarla a coloro che ne fanno solamente una «professione». Questo va premesso per occuparci, come stiamo per fare, delle Chiese «sorelle». La espressione sarebbe innocua quando il sottofondo dottrinale fosse esatto, ma al punto a cui siamo non è più innocua e bisogna farvi attenzione. Alcuni teologi che si occupano dell'ecumenismo, nei confronti delle Chiese orientali, tendono a dare alla espressione «Chiese sorelle» un senso «alternativo», ossia opposto al concetto di «Unità della Chiesa» come è inteso tanto in Oriente che in Occidente. Ecco subito una conseguenza (aberrante quanto il suo principio) di tale alternativa, ossia opposta al concetto di unità della Chiesa. Questi teologi vanno sostenendo che bisognerebbe cominciare a mettere tra parentesi come non veramente ecumenici tutti i Concili dopo il VII (Niceno II). La tesi sarebbe questa: «I dogmi possono essere proclamati solo dalla «Chiesa Una», ossia tanto dalle chiese occidentali che orientali». Ed ecco la spiegazione: «I dogmi proclamati solo dalla chiesa occidentale debbono essere riconosciuti per quello che sono, delle definizioni, che sono state enunciate senza la partecipazione delle chiese sorelle d'Oriente e che debbono essere accettati da un lato dai cattolici dell'Occidente e dall'altro debbono essere ripensati alla luce dello sviluppo e della tradizione propria dell'Oriente». Dunque: dogmi non definitivi, se vanno ripensati. Dunque: ammissione di «riforma» dei medesimi, insomma le braccia alla buona volontà, ma non all'errore. Pertanto, accettare una «carità» che supponga tout court o sostituisca la unità nella Fede è incompatibile con lo stesso concetto di «depositum fidei» e di «Rivelazione», pur comune alla Chiesa Cattolica e alle Chiese orientali. Si avrebbe una ecclesiologia non solo spuria ma fuori del chiaro pensiero del Salvatore, il quale domandò la Fede come inizio di tutto ed indicò quale Fede la accettazione delle verità da Lui proclamate con tutte le loro conseguenze.
Per fare dell'ecumenismo serio bisogna conoscere bene la teologia. Uscendo da questa, diventano facili tutte le deformazioni o distruzioni, iniziate con termini che possono anche in un primo momento non destare orrore. L'ecumenismo è una cosa troppo seria per lasciarla a coloro che ne fanno solamente una «professione». Questo va premesso per occuparci, come stiamo per fare, delle Chiese «sorelle». La espressione sarebbe innocua quando il sottofondo dottrinale fosse esatto, ma al punto a cui siamo non è più innocua e bisogna farvi attenzione. Alcuni teologi che si occupano dell'ecumenismo, nei confronti delle Chiese orientali, tendono a dare alla espressione «Chiese sorelle» un senso «alternativo», ossia opposto al concetto di «Unità della Chiesa» come è inteso tanto in Oriente che in Occidente. Ecco subito una conseguenza (aberrante quanto il suo principio) di tale alternativa, ossia opposta al concetto di unità della Chiesa. Questi teologi vanno sostenendo che bisognerebbe cominciare a mettere tra parentesi come non veramente ecumenici tutti i Concili dopo il VII (Niceno II). La tesi sarebbe questa: «I dogmi possono essere proclamati solo dalla «Chiesa Una», ossia tanto dalle chiese occidentali che orientali». Ed ecco la spiegazione: «I dogmi proclamati solo dalla chiesa occidentale debbono essere riconosciuti per quello che sono, delle definizioni, che sono state enunciate senza la partecipazione delle chiese sorelle d'Oriente e che debbono essere accettati da un lato dai cattolici dell'Occidente e dall'altro debbono essere ripensati alla luce dello sviluppo e della tradizione propria dell'Oriente». Dunque: dogmi non definitivi, se vanno ripensati. Dunque: ammissione di «riforma» dei medesimi, insomma le braccia alla buona volontà, ma non all'errore. Pertanto, accettare una «carità» che supponga tout court o sostituisca la unità nella Fede è incompatibile con lo stesso concetto di «depositum fidei» e di «Rivelazione», pur comune alla Chiesa Cattolica e alle Chiese orientali. Si avrebbe una ecclesiologia non solo spuria ma fuori del chiaro pensiero del Salvatore, il quale domandò la Fede come inizio di tutto ed indicò quale Fede la accettazione delle verità da Lui proclamate con tutte le loro conseguenze.
(Cardinale Giuseppe Siri, «Renovatio», XI, 1976, fasc. 3, 277-278)