Si comincia ad esercitare la pazienza cercando di tollerare i disagi e le sofferenze quotidiane senza mormorare, ma con rassegnazione, sapendo che la divina Provvidenza non permette prova alcuna che non sia per noi fonte di bene. Agli inizi, ed anche per lungo tempo, l’anima sentirà molta ripugnanza per la sofferenza, tuttavia, se si sforza di abbracciarla bene - con costanza, con pace, con sottomissione al volere divino - un po’ alla volta, proprio attraverso questo esercizio tanto penoso, comincerà a sperimentare il grande profitto spirituale che ne deriva, si sentirà infatti più distaccata dalle creature e da se stessa e più vicina a Dio. Spontaneamente allora giungerà a stimare la sofferenza e poi, sperimentandone sempre più la fecondità spirituale, finirà con l’amarla.
Ma non bisogna farsi illusioni: l’amore alla sofferenza è il vertice della pazienza, è il frutto della pazienza perfetta; per giungere a queste altezze occorre cominciare da un esercizio assai più umile: accettare in pace, senza lamentarsi, tutto quello che fa soffrire.
(...) O Gesù, per amor tuo e col tuo aiuto, voglio soffrire in pace tutte le contrarietà della vita.
[Pensiero tratto da “Intimità Divina”, di Padre Gabriele di S. Maria Maddalena, pubblicato dal Monastero S. Giuseppe delle Carmelitane Scalze di Roma, imprimatur: Vicetiae, 4 martii 1967, + C. Fanton, Ep.us Aux.].