Era il mese di agosto del 1860 e un bastimento a vapore usciva dal porto di Civitavecchia alla volta dei lidi francesi. Augusto Premi, cattolico fervente, aveva prese posto sopra quel legno ed era salito sul ponte, quando vide montare sopra coperta una donzella in sui ventidue anni, in abito tutto nero, che passando celermente fra naviganti e marinai, si recò difilata a poppa; ed ivi sul banco estremo si assise. Ciò fatto, incrociò le mani sul grembo, levò gli occhi in alto e dal profondo del cuore trasse un sospiro, restando poi immobile in atteggiamento di dolore. Questa vista toccò il cuore ad Augusto, il quale mosso da compassione, ed anche da una cotale curiosità, si accostò un poco per meglio osservare quell'afflitta, e si pose così di sbieco a mirarla. La compassione s'impadroniva sempre più dell'anima sua, ed egli si sentì trascinare verso colei per risaperne le vicende, e se gli fosse dato, temperarne l'asperità. Le si accostò, e: - Signora, disse in tono rispettoso e cortese, dalla mestizia del viso io mi avvedo che voi premete in petto un grande affanno. - Sì, ella rispose sospirando, grande, ma grande assai. Ah! non c'è più conforto per me. - Che dite mai? E non sapete che ad ogni affanno c'è il conforto? Anch’io, benché bersagliato dall'avversa fortuna, sfogando il cuore con anime pietose, e più con Dio, mi sento assai sollevato dei miei dolori. - Lo credo, signore, ma per me. Oh! per me non v'è conforto, anzi neppure speranza! - Ah, signora, voi v'ingannate per soverchio dolore; sono senza speranza solo i dannati. A quella parola trasalì l'infelice donzella e tremò tutta da capo a piè, quasi tocca da elettrica scossa; spalancò un paio d'occhi da spiritata e mise un lungo e dolorosissimo ohimè, e così esclamando levò dal grembo le mani e fattone puntello e schermo al volto mestissimo, ruppe in gran pianto. Angusto volle dirle qualche parola di consolazione, ma ella singhiozzando: Lasciatemi per pietà, disse: ed egli la lasciò. Durò la misera in quell’angoscia per ben mezz'ora, poscia sollevata alquanto la testa e gli occhi fissi al cielo, pareva tacitamente pregasse. Augusto allora si riavvicinò, e si studiò nuovamente con bel garbo di trarle di bocca l'arcano che nascondeva; ella resistette ancora un poco, poi finalmente, come a Dio piacque, si diede vinta ai pietosi sforzi di Angusto, e fissandolo con occhi lagrimosi: - Signore, disse, la pietà che mi mostrate vi disigillano un cuore che io avevo fisso di tenere a tutti eternamente suggellato. Sentite, anima pietosa, e giudicate se io abbia giusta ragione di piangere finché vivrò. Io aveva una sorellina, nomata Adele, leggiadra, affettuosa e d'una ingenuità senza pari. Che anima candida era mai quella! era venuta su fino ai quindici anni semplice ed innocente come un angioletto del paradiso. Io era indegnissima di averla a sorella; certi romanzaci prestatimi da una falsa amicami avevano da lunga pezza corrotto il cuore. Un dì ... ahi dì funesto!... Un dì, o signore, feci le veci di demonio istigatore verso quella innocente, e ... lo dirò ... fui cagione che si macchiasse di peccato ... Qui diede l'infelice in un sospiro profondo, e poi proseguì: Quel peccato che fu il primo, fu anche l'ultimo della mia sventuratissima Adele. Io non vi pensai più, ed ella, da quel fatto in fuori, continuò ad essere sempre l'anima innocente di prima; cioè buona, devota, caritatevole, irreprensibile, Arrivata all'età di diciassette anni infermò, ed il morbo in breve si aggravò a segno che la trasse rapidamente a termine di vita. Spedita dai medici si venne al prete, ed ella si confessò, prese il Viatico e stava, per quanto pareva, con calma, attendendo il suo fine. Io che l'amava di tenerissimo affetto, mi trattenni sempre presso di lei, confortandola e struggendomi in pianto a vederla morire. Quando ecco: Ermelinda, ella chiama, Ermelinda, vieni qua. - Io corro all’istante; ed ella stringendo con la sua gelida mano la mia, e fissandomi in volto gli occhi moribondi; - Ti ricordi, Ermelinda, mi disse, ti ricordi di quel peccato? - Ahi, purtroppo me ne ricordo, risposi, Adele mia! Ma tu non vi pensare; ti sei confessata e ne hai certamente ottenuto il perdono. - No, m'interruppe con forza la moribonda, no, non l'ho ottenuto né l'otterrò giammai. Sappi che da quel dì la vergogna mi chiuse la bocca ed ho taciuto sempre, ho taciuto anche ieri nella confessione estrema. Il mio peccato sta qui (e toccava il petto), ed è l'unico, sai, che abbia commesso. Io muoio, e per esso mi danno; ma guai a te! guai a te! Così dicendo, mi strinse più fortemente la mano e subito la lasciò cadere; io vidi scolorirsi il suo volto e serrarsi i suoi occhi; Adele era morta; lo sforzo del proferire quel terribile guai le aveva dato l'ultimo crollo! Ecco la storia del mio dolore; non ho ragione di non aprire mai più il mio cuore a letizia? Ah! mi par sempre di vedere la mia Adele avvolta nelle fiamme, mi par sempre di sentirmi stringere i polsi dalla sua gelida mano, mi tuona sempre all'orecchio quel paurosissimo guai a te! Voleva più dire, ma il singhiozzo le troncò le parole in bocca, ed ella ruppe in sì gran pianto che gli occhi suoi parevano due fontane. Augusto, colpito da pietà e da terrore, non sapeva come porgerle conforto; con tutto ciò si studiò di alleviarne l'ambascia, almeno con la speranza che il pianto ed il pentimento le avrebbero impetrato il perdono. - Sì, ella ripigliò, lo spero per la passione di Gesù dalla clemenza di Dio, che ai pentiti è sempre padre pietoso; ma intanto la mia povera Adele!... Qui un colpo di cannone ruppe il dialogo a mezzo; la nave aveva dato fondo nel porto di Marsiglia. Augusto sbarcò sospirando e ripetendo il formidabile detto di Gesù Cristo: «Guai a quello, per la cui colpa verrà lo scandalo!».