Il Brutalismo, stile architettonico emerso tra gli anni '50 e '70, trova nella sua applicazione all'architettura sacra un'espressione unica e controversa. Caratterizzato da una schietta onestà dei materiali, in particolare il cemento a vista (da cui il termine francese béton brut), e da forme imponenti e massicce, il Brutalismo religioso ha cercato di ridefinire il concetto di spazio sacro, con risultati che spesso hanno deluso i fedeli. Il Brutalismo religioso non è stato immune da critiche. Molti lo hanno trovato poco accogliente, persino intimidatorio, in netto contrasto con l'eleganza e la sontuosità di chiese barocche o gotiche. L’architettura sacra dovrebbe essere strumento di incontro con il divino, medium di comunità e memoria condivisa. Quando il brutalismo religioso antepone l’ideologia materica alla funzione liturgica e pastorale, fallisce la sua missione. L’architettura sacra efficace è quella che sa parlare al corpo e allo spirito: il cemento a vista, se privo di cura narrativa e umana, rischia di rimanere solo un freddo involucro. Il brutalismo religioso, con i suoi volumi di cemento grezzo, le superfici monolitiche e l’estetica dell’assenza di ornamento, ha segnato molte chiese e luoghi di culto del secondo Novecento. Ma quella che alcuni difendono come onestà materica e modernità rappresenta spesso una scelta architettonica che indebolisce, anziché sostenere, l’esperienza del sacro. Ecco perché il brutalismo religioso merita una critica netta e motivata.