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lunedì 13 giugno 2022

Un carcerato felicissimo di essersi confessato da San Giuseppe Cafasso

Brano tratto dal secondo volume delle “Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco” raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne e pubblicate nel 1901.


D. Bosco nulla aveva dismesso del suo fare allegro, che rendevalo principe in qualunque conversazione. Come in seminario ed alle scuole di Chieri, aveva sempre qualche invenzione nuova per rallegrare la brigata. Però in questi suoi scherzi e burle egli teneva sempre un contegno calmo, sorridente, nè punto scomposto o nei gesti o nei passi, nè mai dava in iscrosci di risa.

[...] un'insigne pietà ed uno zelo apostolico ponno benissimo accoppiarsi con un umore faceto. Di queste ricreazioni graziose godevano assai anche il Teologo Guala e D. Cafasso, che pure erano uomini di tanto senno e serietà.

[…]

La giocondità del cuore è la vita dell'uomo, ed è un tesoro inesausto di santità. Tuttavia ben più care tornavano a D. Bosco altre ricreazioni che si passavano con D. Cafasso. Riferiremo qui una pagina scritta da D. Bosco stesso.

“ Tutti i giorni dopo la mensa eravi un po' di ricreazione. E questo era il tempo di un'altra maravigliosa scuola di Don Cafasso. Qui i suoi alunni succhiavano come latte la bella maniera di vivere in società; di trattare col mondo senza farsi schiavo del mondo; e diventar veri sacerdoti forniti delle necessarie virtù, per formare ministri capaci di dare a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dia. D. Cafasso narrava eziandio le conversioni di peccatori da lui presenziate negli ospedali, nelle carceri e in altri luoghi, con infinito diletto e vantaggio dei convittori. Questi poi, allorchè D. Cafasso non era presente, avevano mille cose da narrare del loro caro ripetitore. Dei moltissimi fatti, di cui sono stato testimonio oculare, trascelgo il seguente, che è lepido e curioso.

” D. Cafasso, per disporre i carcerati a celebrare una festa che occorreva in onore di Maria Santissima, aveva impiegata un'intiera settimana ad istruire ed animare i detenuti di un colloquio, ovvero camerone, ove erano circa quarantacinque dei più famosi carcerati. Quasi tutti avevano promesso di accostarsi alla confessione alla vigilia di quella solennità. Ma, venuto il giorno stabilito, niuno risolvevasi a cominciare la santa impresa di confessarsi. Egli rinnovò l'invito, richiamò in breve quanto aveva loro detto nei giorni trascorsi, ricordò la promessa fattagli; ma, fosse rispetto umano, fosse inganno del demonio od altro vano pretesto, niuno si voleva confessare. Che fare adunque?

” La carità industriosa di D. Cafasso saprà che cosa fare. Egli ridendo si avvicina ad uno, che a vista sembra il più grande, il più forte e il più robusto dei carcerati. Senza proferir parola, colle sue piccole mani lo piglia per la folta e lunga barba. Il detenuto da prima pensava che D. Cafasso facesse per burla, perciò in modo garbato, quanto si può aspettare da tale gente: - Mi prenda tutto, disse, ma mi lasci stare la mia barba.

 - Non vi lascio più andare, finchè non siate venuto a confessarvi.

 - Ma io non ci vado.

 - Ed io non vi lascio andare.

 - Ma... io non voglio confessarmi

 - Dite quello che volete, voi non mi scapperete più, ed io non vi lascierò andare via, finchè non vi siate confessato.

 - Io non sono preparato.

 - Vi preparerò io.

” Certamente se quel carcerato avesse voluto, avrebbe potuto svincolarsi dalle mani di D. Cafasso col più leggiero urto; ma, fosse rispetto alla persona, o meglio frutto della grazia del Signore, fatto sta che il prigioniero si arrese, e si lasciò tirar da D. Cafasso in un angolo del camerone. Il venerando sacerdote si asside sopra un pagliericcio, e prepara il suo amico alla confessione. Ma che? In breve questi si mostra commosso, e tra le lacrime e tra i sospiri, appena potè terminare la dichiarazione delle sue colpe.

” Allora apparve una grande maraviglia. Colui, che prima bestemmiando ricusava di confessarsi, dopo andava ai suoi compagni predicando non essere mai stato cotanto felice in sua vita come in quel giorno. Quindi tanto fece e tanto disse, che tutti si ridussero a far la loro confessione.

” Sia che si voglia chiamare questo fatto, che scelgo tra migliaia di tal genere, miracolo della grazia di Dio, sia che si voglia dire miracolo della carità di D. Cafasso, è forza riconoscere in esso l'intervento della mano del Signore.