Per contattarmi: cordialiter@gmail.com


Se il blog ti piace e desideri aiutarmi affinché possa dedicare il tempo necessario per continuare ad aggiornarlo ogni giorno e rispondere alle e-mail dei lettori, puoi inviarmi una libera donazione. Per info: clicca qui.


Visualizzazioni totali

lunedì 6 maggio 2024

Circa le opere buone compiute in stato di peccato mortale

Tempo fa ho pubblicato un post nel quale ho scritto che le opere buone, se compiute in stato di grazia e con retta intenzione, fanno meritare all'anima una ricompensa eterna in paradiso, mentre se si è in peccato mortale fanno “meritare” le grazie necessarie alla conversione e/o dei beni materiali.

Qualche giorno dopo mi ha scritto un signore per "rimproverarmi" di aver detto che Dio ricompensa le opere buone compiute in peccato mortale concedendo dei beni materiali oppure le grazie necessarie alla conversione.

Ma questa dottrina non è una mia invenzione, infatti viene insegnata da autorevoli autori tra cui San Tommaso d’Aquino, Santa Caterina da Siena, San Roberto Bellarmino e Sant'Alfonso Maria de Liguori.

Addirittura quel signore è giunto a dire che i rapporti coniugali sono moralmente leciti solo se si è in stato di grazia! Ma come si fa a dire un’enormità del genere? In realtà i rapporti coniugali compiuti in modo naturale e con retta intenzione sono un’opera buona e, pertanto, sono moralmente leciti, come sono lecite tutte le altre opere buone (fare un’elemosina, pregare, assistere alla Messa, fare letture spirituali, ecc.), anche se si è in stato di peccato mortale!

Ma torniamo alle questione delle “ricompense” che Dio concede alle anime in peccato mortale che compiono opere buone. Ecco cosa dice in proposito la grande mistica Santa Caterina da Siena nella “Lettera 7”: “[…] nessun bene si deve tralasciare, perché ogni bene è rimunerato e ogni colpa punita. Il bene, senza la carità, non vale per la vita eterna, ma vale per molte altre cose, ricevendo grazia da Dio”. E poi continua spiegando quali grazie Dio dona a coloro che sono privi della grazia santificante: “Poiché Dio non vuole che quel bene passi senza rimunerazione, lo rimunera alcune volte concedendogli il tempo per convertirsi, talvolta ponendo il peccatore nel cuore dei servi di Dio esortandoli a pregare per lui […] Oppure lo rimunera in cose temporali, quando il peccatore non si dispone, per sua colpa, a ricevere le grazie spirituali”.

A conferma di ciò nei libri di devozione e nelle biografie dei santi vengono riportate molte storie di peccatori incalliti che hanno ottenuto la grazia della conversione perché avevano compiuto qualche opera buona. Per esempio nelle biografie di San Giovanni Maria Vianney si racconta che un giorno il pio parroco di Ars consolò una vedova preoccupata per la sorte eterna del marito defunto, dicendole che pochi istanti prima di morire si era pentito dei suoi peccati e che aveva ottenuto la grazia della conversione perché, anche se irreligioso, qualche volta aveva fatto con la moglie delle orazioni in onore della Madonna per il mese di maggio.

Che sia un bene per l’anima compiere delle opere buone anche se si è in peccato mortale, lo fa comprendere anche San Roberto Bellarmino, secondo cui le opere buone fatte in peccato, anche se non giustificano l’anima, tuttavia la dispongono ad ottener la giustificazione. Ecco le testuali parole di questo santo cardinale: “Saepenumero Scriptura divina tribuit vim iustificandi, aut etiam salvandi, diversis rebus, non quod, solae, illae iustificare aut salvare possint, sed quod illae vim suam habeant ad iustificationem aut salutem, et ad eum finem perducant, si tamen cetera non desint” (citazione tratta da: “Quarta controversia generalis. De sacramento Poenitentiae”, lib. 2, De contritione, cap. 7).

San Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi teologi di tutti i tempi, nella celebre “Summa Theologiae” (Supplementum tertiae partis, qu. 14, art. 4, c.) insegna che le opere buone compiute senza la carità sono utili a un triplice bene: a conseguire i beni temporali; a disporre chi le pratica a ricevere la divina grazia; ad abituarsi a compiere opere buone. Ecco le testuali parole del Doctor Angelicus: “Sed quia divinam bonitatem decet ut ubicumque dispositionem invenit, perfectionem adjiciat; ideo ex merito congrui dicitur aliquis mereri aliquod bonum per opera extra caritatem facta. Et secundum hoc opera ista valent ad triplex bonum: scilicet ad temporalium consecutionem, ad dispositionem ad gratiam, et ad assuetudinem bonorum operum”.

Alcuni si domandano per quale motivo molte persone che compiono il male e fanno soffrire ingiustamente il prossimo godano di buona salute e vivano nella prosperità. Il motivo è che Dio, essendo infinitamente buono, concede qualche ricompensa anche per le buone opere fatte dai cattivi, ma dato che costoro sciupano le grazie necessarie alla conversione avendo il cuore indurito, allora al Signore non rimane che ricompensarli con dei beni materiali (salute, prosperità negli affari, ecc.) nel tempo che gli rimane da vivere in questo mondo, in attesa di castigarli con l’inferno dopo la morte. Ecco quel che scrisse al riguardo Sant’Alfonso Maria de Liguori: “Povero quel peccatore che in questa vita è prosperato! È segno che Dio vuol pagargli temporalmente qualche sua opera moralmente buona, ma poi lo tiene riserbato come vittima della sua giustizia per l'inferno” (citazione tratta da “Sermoni compendiati”, sermone XLI “Abuso della divina misericordia”).

Scrivere questo post mi è costato alcune ore di tempo per andare a ricercare le citazioni dei suddetti Dottori della Chiesa. Spero che non sia stata una fatica inutile, bensì di essere riuscito a chiarire la questione. Se qualcuno non si sentisse soddisfatto e volesse insistere nella polemica, lo prego gentilmente di astenersi dallo scrivermi, dato che non ho tempo da impiegare per fare delle infruttuose dispute teologiche.