Ripubblico l'interessante lettera che mi scrisse un lettore del blog ai tempi del pontificato di Benedetto XVI.
Carissimo,
ho letto la bella lettera aperta che hai voluto scrivermi sul tuo blog "Cordialiter". Mi fa molto piacere che il mio articolo abbia incontrato il tuo apprezzamento e ti ringrazio sentitamente per i complimenti che hai voluto rivolgermi. Il mio obiettivo, più che offrire soluzioni definitive, era aprire un dibattito, attirare l'attenzione su un argomento che mi pare troppo poco dibattuto anche fra coloro che si dicono legati alla tradizione liturgica.
A volte la buona battaglia che conduciamo ab extrinseco ci fa perdere di vista i problemi che dovremmo affrontare ab intrinseco. L'antica liturgia è stata liberalizzata e le più formidabili resistenze nei suoi confronti a poco a poco stanno cadendo. Ma siamo veramente certi, per quanto compete a noi laici, di fare il possibile perché i fedeli di oggi, specialmente coloro che sono nati dopo la riforma liturgica, siano messi nelle condizioni adatte per apprezzare la bellezza della forma straordinaria? In molti casi sappiamo che non è così. E la colpa è anche nostra. Non possiamo schermici attribuendo agli ecclesiastici ogni responsabilità. Nel mio articolo ho inteso appunto mettere in luce una serie di problemi, la cui soluzione dipende in massima parte dall'impegno del laicato. Pensare che il clero debba occuparsi di tutto non è soltanto irrealistico, è anche scorretto, poiché i fedeli hanno sempre avuto la loro parte nella celebrazione della liturgia e nell'organizzazione ecclesiastica. Bisogna guardarsi dal reagire all'attivismo oggi imperante, per cui i laici svolgono ruoli che competono ai sacerdoti, con un'inerzia meno appariscente, forse, ma non meno dannosa.
Molti sono convinti che la situazione riceverà una svolta solo in seguito ad un provvedimento della suprema autorità. Personalmente nutro qualche dubbio su questo punto. Prima del motu proprio, si pensava che la liberalizzazione dell'antica liturgia avrebbe comportato l'eliminazione di tutte le difficoltà. Abbiamo visto che non è stato così: molte cose sono migliorate, ma altrettante restano ancora da mettere a punto. Non voglio dire, naturalmente, che la parola e l'esempio del Santo Padre siano di scarsa utilità: tutt'altro! Ma dobbiamo tener conto che una parte del clero e dell'episcopato si sente in diritto di dissentire, anche pubblicamente, dal suo insegnamento; o comunque di esimersi dal portarlo ad effetto. Che cos'è, dunque, che farà la differenza, almeno nel breve periodo? L'impegno e il fervore del laicato. Guardiamo alla situazione francese: l'affermarsi dell'antica liturgia non dipende tanto dagli ecclesiastici, quanto dalla tenacia di alcuni gruppi laicali, che sono riusciti a creare comunità, associazioni, scuole, periodici legati a questa forma rituale e, più in generale, all'autentica tradizione cattolica. Certo, l'Italia non è la Francia. Sarebbe utopico pensare di poter applicare da noi, sic et simpliciter, il modello d'oltralpe. Tuttavia non possiamo non prenderne spunto per orientare il nostro modo di agire. E l'insegnamento più significativo che, a mio avviso, dobbiamo trarne è questo: la necessità che i laici, senza abusare del loro ruolo, si impegnino attivamente a favore della diffusione e della conoscenza della liturgia tradizionale, contribuendo a vincere i pregiudizi e le storture che, in cinquant'anni di propaganda contraria, sono stati diffusi sul suo conto. I provvedimenti dall'alto aiutano, ma, almeno per ora, non bastano a risolvere. Occorre quindi, come si dice, rimboccarsi le maniche e fare ciò che fin d'ora può essere fatto.
Ringraziandoti ancora per la tua lettera, ti prego di accettare l'espressione più sincera della mia stima.
In Cristo e Maria,
(lettera firmata)