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domenica 17 agosto 2025

Un frate cappuccino ricco di zelo apostolico

[Brano tratto da “Tesoro di racconti istruttivi ed edificanti”, di Don Antonio Zaccaria, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1887].

Un giovane Padre Cappuccino, che predicava per la prima volta nel cantone di Novelda, dovette separarsi dal suo collega di missione per andare da sé solo ad evangelizzare il piccolo villaggio di Romana. Giunto colà viene a sapere che il più ricco proprietario del paese era da lungo tempo divenuto il nemico più accanito dei preti. Aveva già avuto un giorno una viva discussione col Curato, e da quell'epoca aveva giurato un odio mortale agli ecclesiastici ed alla religione. Già da trent'anni più non andava alla chiesa, non lasciava battezzare i suoi figli: proibiva ai suoi domestici, ch'egli pagava meglio e più di qualunque altro, d'accostarsi ai SS. Sacramenti. In breve, tutti lo temevano e molto, ed era generalmente conosciuto sotto il soprannome di bestia feroce. Il giovane missionario comprese subito, che il risultato della sua missione sarebbe stato, pressappoco nullo, se egli non cominciava per ricondurre all'ovile questa pecora smarrita; e che dalla conversione del castaldo dipendeva il buon esito della sua missione. Il Curato si sforzò di dissuaderlo dal suo proposito: gli disse che già molti tentativi s'erano fatti, ma invano, da uomini apostolici per riconciliare colla Chiesa il terribile proprietario. D'altronde egli si rifiutava di accompagnare il missionario nella sua visita alla masseria, che era distante dal villaggio, persuaso qual era che sarebbe stato ricevuto a colpi di bastone, e forse anche a colpi di rivoltella. Ben lungi dal perdersi di coraggio il religioso andò a cercar uomini di buona volontà fra i parrocchiani. Tutti si ricusarono ugualmente nessuno voleva impegnarsi in una impresa che generalmente si teneva da tutti per dannosa o almeno molto imprudente. «Voi almeno, - esclamò il Padre, rivolgendosi ad un ferraio di forma gigantesca ed erculea, voi non ricuserete di venir meco. Ad ogni modo io arrischio assai più che voi, e del resto io vi prego solamente di servirmi di guida, e indicarmi la località». Il ferraio acconsentì non senza difficoltà. Ed ecco, tosto il Padre Cappuccino e il fabbro, seduti ambedue su di unta carretta tirata da un asino pigliare il cammino verso la masseria. Quando furono vicini, il fabbro domandò di ritirarsi, e il Cappuccino fu obbligato a farsi innanzi da solo. Fu ricevuto nella masseria con bastante freddezza, come ciascuno facilmente può immaginarsi. Abbandonato da solo a solo col castaldo, cercò di intavolare ilcolloquio con tutta la possibile gentilezza. Spiegò da principio la ragione della sua visita, con dire che egli, missionario, era solito nelle sue missioni a visitare i principali del luogo. Ma allorquando il padrone di casa già rassicurato, cominciava a pigliare interesse del trattenimento (s'era già lasciato andare a sorridere due o tre volte), il Padre espose nettamente lo scopo che lo aveva ivi condotto. "Se vengo in questo paese, è per cercare dei peccatori e riconciliarli con Dio nel tribunale di penitenza. Ma siccome io era persuaso che voi non sareste venuto a cercare me nel confessionale, eccomi che sono venuto io stesso a trovarvi. Andiamo, mio buon uomo, soggiunse, stringendogli affettuosamente la mano, è tempo oramai che ritorniate a Dio. È già troppo lungo tempo che il vostro cuore soffre orribilmente. Una vita sì spaventevole è tempo di finirla. È il buon Dio che vi offre il perdono; eccovelo quel caro Gesù che vi tende fra le braccia ...». E il castaldo si mise a piangere dirottamente come un fanciullo e a gridare: - Accorrete, o mie genti! Venite! Eccovi il mio benefattore, l'uomo che qui vedete è piuttosto un angelo, che il buon Dio mi ha mandato. E continuava a piangere a calde lagrime. Accorsero tosto i suoi temendo da principio che fosse imminente qualche disgrazia. Ma il missionario che non voleva perdere la sua preda, congedò tosto la gente appena fu rassicurato della cosa, e si mise subito a riconciliare il peccatore col Padre delle misericordie. Nel frattempo il fabbro se ne stava fuori della masseria temendo di sentire colpi di fucile. Quanto agli altri parrocchiani, aspettavamo con impazienza alle porte del villaggio; loro tardava di veder rientrare il cappuccino sano e salvo, sapendo quanto la bestia feroce fosse capace di ogni scelleraggine. Fortunatamente, qualche tempo appresso, il giovane religioso fece il suo ingresso trionfale, con grande meraviglia dei curiosi che credevano di sognare. Il corteggio era composto di tre calessi portanti tutti gli abitanti della masseria. Si vedeva nel primo il terribile castaldo assiso a lato del Cappuccino, e dietro questi modesti equipaggi, nella carretta tirata dall'asino stava seduto il ferraio dal volto annerito, dal quale traspariva una certa confusione. Il Padre conduceva gli abitanti della masseria alla predica, come le primizie delle sue fatiche apostoliche offerte a Dio e per l'edificazione dei parrocchiani. Passò egli qualche tempo a battezzare, a confessare e a benedire le nozze di coloro che erano fin allora vissuti troppo liberamente; e appresso più nulla poteva resistergli in quel villaggio, nel quale il suo nome sarà sempre benedetto.

Pensiero del giorno

Vedo chiaramente la vita interiore che Gesù vuole da me: non lasciare un solo momento il posto d'amore che è il Tabernacolo. Rinnovo ad ogni ora questa unione; seguire la grazia momento per momento con totale fedeltà; abbandonarmi all'amore del divino Maestro; fare di Gesù, il Destinatario unico dei miei pensieri, dei miei affetti, della mia vita; darmi tutta continuamente e solo per la sua gloria; essere unicamente di Lui solo.

(Pensieri scelti dagli scritti della Beata Maria di Gesù Deluil-Martiny, "Gesù deve regnare", a cura di Paolo Risso, LEV)

sabato 16 agosto 2025

Educazione cristiana: l’esempio di Anna Maria Taigi

Pubblico un post che mi ha inviato Teodolinda, una gentile collaboratrice del blog.

La madre cristiana deve essere l’ Angelo della famiglia e più che mai questo celeste nome le si conviene quando conduce i figli suoi ad onorar Dio e santificare i giorni che egli si è serbato, compiendo con regolarità ed esattezza i doveri cristiani. In casa Taigi, Domenico aveva affidato la direzione interna a sua moglie, lasciandole altresì la cura di far osservare ai figli i doveri cristiani e le feste della santa Chiesa. Anna Maria osservò sempre questo dovere con la maggior sollecitudine. Nei giorni di Sabato o di vigilia di altre feste, essa prendeva tutte le disposizioni per trovarsi libera il giorno dopo. Prendeva la sua biancheria dagli armadi, puliva gli abiti della domenica e li metteva vicino al letto di ciascuna persona della famiglia; preparava poi tutte le cose della cucina per avere poi tutto pronto nel momento che le abbisognava. In tal modo preveniva e disponeva tutto con la più grande attenzione. Raddoppiava insomma le fatiche in giorno di Sabato o vigilia di altre feste per trovarsi più libera di dedicarsi alla pietà nei giorni riserbati al Signore. L’orario del giorno festivo era questo: si alzava prima dell’alba, mentre tutti in camera dormivano, andava in chiesa della Madonna della Pietà che prospettava al palazzo Chigi, dall’altra parte della Piazza Colonna, e in tal luogo dava libero corso alla sua devozione. Tornava a casa prima che il marito fosse alzato, l’aiutava pazientemente a vestirsi, a farsi pulizia, poi lo mandava ad ascoltare la santa Messa, spesso alla chiesa della Parrocchia nella quale poteva sentire la spiegazione del santo Vangelo. Dopo faceva alzare i bambini piccoli, li aiutava a vestirsi e li conduceva essa stessa, o li faceva condurre dalla vecchia madre in chiesa; ed aveva cominciato a far così da quando avevano appena tre o quattro anni. In tal modo queste innocenti creature erano già abbastanza comprese dell’atto solenne del divin Sacrificio e formavano i loro cuori, a mano a mano, alla pietà e all’amor di Dio.  Preparato tutto il giorno avanti, essa faceva presto per la colazione di Domenico e gliela dava subito appena tornato di chiesa, giacchè egli doveva recarsi a prestare i suoi servizi a palazzo Chigi. Anna Maria prendeva il momento per raccogliere i suoi bambini e far loro una lettura sacra adatta alla loro intelligenza oppure qualche edificante preghiera. Poi permetteva loro di giocare innocentemente, senza però uscire di casa. Dopo colazione conduceva i bambini, o li faceva condurre, alla spiegazione del catechismo. Quando tornavano li conduceva a fare una passeggiata, o ve li faceva condurre dal padre, e tale svago terminava sempre con una visita a qualche Chiesa o al SS. Sacramento in qualche Santuario. Le ultime ore del giorno erano passate in preghiere vocali, o in letture di libri divoti come vite dei santi, o altro, stando riuniti in dolce armonia e raccoglimento che forma della famiglia cristiana un paradiso in terra. Quando i bambini cominciarono ad essere grandi, divennero giovanetti, presero la santa abitudine di accostarsi ai SS. Sacramenti nei giorni festivi… La Beata istruiva i suoi figli intorno a queste sorgenti di grazie e aggiungeva agli insegnamenti dei loro maestri e dei Parroci molte riflessioni e pratiche che sempre più approfondivano nella loro mente questi sublimi misteri.


Brano tratto dal “Manuale di pietà per la pia sposa e madre cristiana sul modello della Beata Anna Maria Taigi”, Casa Editrice Marietti, 1925, Roma.

Un saluto,

Teodolinda

P. S. La vita di Anna Maria Taigi era veramente ricca di fede e preghiera. Per i nostri tempi già sarebbe qualcosa portare i bambini regolarmente in Chiesa, dire con loro qualche preghiera e fare qualche lettura edificante almeno la domenica!

Pensiero del giorno - Circa le missioni popolari

Dice in secondo luogo il suo parroco, che con le missioni s'inquietano le coscienze, per ragione dei tanti scrupoli che allora si muovono per mezzo delle prediche. Or questa difficoltà sì che è bella! Dunque sarà meglio per non inquietar le coscienze lasciare i peccatori a dormire nel letargo del peccato con quella pace maledetta che è il sigillo della loro dannazione? S'inquietano le coscienze! Questo è quel che pretende il demonio, che quei miseri suoi schiavi non siano disturbati da quella falsa pace in cui vivono perduti. Ma questa deve esser la cura del pastore, di mandare ad inquietar le pecorelle che dormono in disgrazia di Dio, affinché si sveglino e riparino al pericolo in cui stanno di dannarsi; ed a svegliarle non vi è mezzo migliore della missione.


[Brano tratto dagli scritti di Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa].

venerdì 15 agosto 2025

Festa dell'Assunta, 1923

[Brano tratto da "Vera devozione a Maria", di Don Giuseppe Tomaselli, imprimatur: Canonico Carciotto Vicario Generale, Catania 13 maggio 1952].


Il 15 agosto 1923, a sera, la Madonna si manifestò a Josefa Menendez in tutta la sua bellezza. Nel giorno sacro al mistero della sua Assunzione, la Madre Celeste volle rallegrare la sua diletta devota. Estasiata davanti alla bellezza della Madonna, Josefa esclamò: Madre mia, com'è bello questo giorno! Tutto il mondo esulta a ricordare il vostro ingresso in Cielo!

- Sì, rispose Maria, proprio in questo giorno la gioia piena e perfetta è cominciata per me, poiché durante la mia vita l'anima mia fu trafitta da una spada.

- Ma soffriste sempre in vita? La presenza del Bambino Gesù, così piccolo e bello, non era per Voi una immensa consolazione?

- Figlia mia, ascolta! Sin dalla mia infanzia ebbi conoscenza delle cose divine; così che quando l'Arcangelo mi annunziò il mistero dell'Incarnazione e mi vidi scelta per Madre del Salvatore degli uomini, il mio cuore fu sommerso in un torrente di amarezza, perché sapevo tutto quello che il tenero e Divino Bambino doveva soffrire; e la profezia del vecchio Simeone non fece che confermare le mie angosce materne.

Tu puoi quindi figurarti quali dovevano essere i sentimenti nel contemplare le attrattive del mio Figlio, il suo corpo, che sapevo doveva essere un giorno così crudelmente maltrattato.

Io baciavo quelle mani e mi sembrava che le mie labbra s'impregnassero già di sangue. Baciavo i suoi piedi e li contemplavo già confitti alla Croce. E quando Egli fece i primi passi e mi corse incontro con le braccia aperte, non potei trattenere le lacrime al pensiero di quelle braccia stese sulla Croce.

Quando giunse all'adolescenza, apparve in Lui un tale assieme di grazia affascinante che non lo si poteva contemplare senza restarne rapiti! Solo il mio cuore di Madre si stringeva al pensiero dei tormenti, di cui in anticipo provavo la ripercussione.

Dopo la lontananza dei tre anni della vita apostolica, le ore della sua Passione e Morte furono per me il più terribile dei martiri.

Quando il terzo giorno lo vidi risuscitato e glorioso, certo la prova cambiò aspetto, poiché Egli non poteva più soffrire. Ma quanto dolorosa doveva essere la separazione da Lui! Che lungo esilo per me quando Gesù salì al Cielo! Come sospiravo l'istante della eterna unione!

Sull'entrare del mio sessantatreesimo anno, l'anima mia passò come un lampo dalla terra al Cielo. Dopo tre giorni gli Angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima. Quale ammirazione, quale adorazione e dolcezza, quando i miei occhi videro per la prima volta nella sua gloria e nella sua maestà il mio Figlio e mio Dio, in mezzo alle schiere angeliche!

Che dire poi, figlia mia, dello stupore che m'invase alla vista della mia estrema bassezza, che veniva coronata da tanti doni e circondata da tante acclamazioni?... Non più tristezza ormai, non più ombra alcuna! Tutto è dolcezza, gloria, amore! -

A questo punto la Madonna tacque un istante, immersa nel magnifico ricordo del suo ingresso in Cielo; poi continuò:

- Tutto passa, figlia mia, e la beatitudine non ha fine. Soffri ed ama! ... Coraggio! ... L'inverno della vita è breve e la primavera sarà eterna! - Ciò detto, la Madonna sparì.

Ecco come la Vergine Celeste premia e consola certe anime che sanno onorarla e come gode che sia ricordato il giorno del suo ingresso in Paradiso!

Pensiero del giorno

In un eccesso di amore Dio creò i cieli, la terra, l’uomo; ma in un eccesso più grande creò Maria.


(San Luigi Guanella)

giovedì 14 agosto 2025

Maria Santissima desidera vivamente che noi facciamo la morte dei giusti

[Brano tratto da “Tesoro di racconti istruttivi ed edificanti”, di Don Antonio Zaccaria, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1887].


Maria Santissima desidera vivamente che noi facciamo la morte dei giusti. Ascoltate: Un giovane di nobile famiglia, per le malvagie compagnie e perverse letture, datosi ai piaceri della vita e soprattutto al gioco, fuggì dalla sua famiglia e in poco tempo si ridusse alla più squallida miseria. In causa ai vizi perdette ancora la salute in modo, che dopo aver ramingato per gran parte di Europa, sfinito di forze e ormai prossimo alla morte giunse in un albergo di Roma. Quando all’improvviso, dopo pochi giorni, giunge all'albergo medesimo una dama di provetta età, accompagnata da un servo e da una cameriera; chiede del nome e del cognome del giovane signore, sale all'appartamento, ove egli ha stanza, vi entra, e di balzo gli si getta al collo e con amoroso furore lo abbraccia esclamando fra i singhiozzi: Carlo mio, Carlo mio!... Il giovane in quella stretta sì affettuosa e così inaspettata non sa rispondere se non queste parole: Mamma, voi qui? come? possibile? voi! ... Sì, era la madre di Carlo! Saputolo a Roma dopo tante traversie, e saputolo altresì rifinito di salute, perdonando a tutti i suoi trascorsi, lo volle raggiungere ad ogni costo per soccorrerlo, e quello che è più, per provvedere agli interessi della sua povera anima. Passato qualche giorno infatti, l'amorosa madre non esita di intavolare discorsi di religione e di sacramenti col povero Carlo. Un certo D. Pio, antica conoscenza di Carlo, si reca a visitarlo, e Carlo lo riceve con tutta cavalleria e gentilezza; ma quando si arriva al punto dei Sacramenti, il giovane si indispettisce e lo licenzia. Torna la madre con amorosa insistenza, ma Carlo dando nelle furie prende una pistola e: “Mamma, esso esclama, non mi si parli più di Sacramenti altrimenti fin da questo momento mi brucio le cervella... - Fermati, figlio mio! Non ti parlerò più di questo .... Che resta a fare a questa povera madre? Correre in chiesa, e a piedi di Maria rifugio dei peccatori sfogare il suo dolore e le sue speranze. Si celebrava infatti in quei dì il mese Mariano, e non una volta sola la pia dama nella chiesa di S. Andrea delle Fratte aveva fatto pregare per la conversione di un peccatore. Progrediva intanto il male, e Carlo si avvicinava a grandi passi agli estremi della vita. Fattosi più mansueto, discorre più volentieri con sua madre, e questa con molto sentimento e commozione si fa coraggio per dirgli: Carlo mio, vorrei da te un regalo ... un ricordo .... sono certa che nulla negherai a tua madre, che è venuta ad assisterti in tante tue sofferenze ... - Che ricordo chiedi, mamma? risponde Carlo. - Regalami la pistola di quel giorno ... Vi pensò un poco il figlio poi senz’altro la fa contenta. Un primo passo era fatto, restava il decisivo, quello della conversione. Si raddoppiano le preghiere pubbliche, ed ecco un pensiero nella mente pia dama. Era il genetliaco del povero figlio che stava per morire; la madre sapeva che a lui piacevano assai i fiori. Per presentargli un dono ordina un mazzo di dodici rose bellissime, e prima di portarlo a Carlo, lo tiene sull’altare della Madonna per tutto il tempo della funzione del mese Mariano. Lo riprende e con una industria veramente ingegnosa e tenera nasconde una medaglia benedetta della Madonna dentro una di quelle dodici rose. Corre all'albergo, fa i suoi complimenti al figlio per il suo genetliaco, e senz'altro fa il presente di quelle vaghe rose. Le gradisco davvero, dice il figlio; ti ringrazio, mamma, sono veramente belle e odorose! Quasi accarezzandole, ora ne tocca una, ora ne tocca un'altra; quando vede cadere da una rosa un piccolo oggetto luccicante come una moneta, va per raccoglierlo, e vede che è una medaglia ... Una medaglia qui, mamma, che cosa è questo mistero? ... Ma mentre Carlo dice così, osserva che dagli occhi della madre cadono due grosse lagrime. - Eh via, ripiglia l'infermo, via mamma, vedo che tu mi vuoi vinto ad ogni costo; ebbene mi arrendo; richiamami pure D. Pio, che voglio confessarmi. Non è a dire che cosa sentisse quella madre in cuor suo a queste parole del figlio. Fu chiamato l'egregio sacerdote, si confessò il giovane convertito, e sopravvivendo quindici giorni non fece altro che edificare quanti lo visitavano coi suoi discorsi sulla divina misericordia e sulla materna bontà di Maria, e spirò santamente fra le braccia della sua madre. Nel camposanto, sopra di un sepolcro, si vede tuttora una ghirlanda di dodici rose appassite e disseccate, racchiuse in una teca di cristallo. È quello il sepolcro del povero Carlo, son quelle le dodici rose che nascondevano la miracolosa medaglia, che lo convertì, e lo condusse ad una santa morte.

Pensiero del giorno

Se non vogliamo trovarci un giorno nel numero dei reprobi, cerchiamo di essere devoti di Maria.


[Brano tratto da “Tesoro di racconti istruttivi ed edificanti”, di Don Antonio Zaccaria, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1887].

mercoledì 13 agosto 2025

La pastorale non è l’arte del compromesso (intervista al Cardinale Siri)

Riporto alcuni brani di un interessante resoconto di un colloquio pubblicato nel 1970 sulla rivista genovese «Renovatio» (n. VI), tra un redattore e il Cardinale Giuseppe Siri. Quando si leggono gli scritti del compianto Arcivescovo di Genova ci si sente "confermati nella fede". Sarebbe splendido se tutti gli ecclesiastici parlassero chiaramente come parlava lui!


RENOVATIO — Esiste, secondo V. E., un rapporto tra la situazione presente della società umana nel suo complesso e quella della Chiesa? Vi è un rapporto tra le difficoltà presenti della religione e quelle dell’umanità? 

SIRI — Come sarebbe possibile diversamente? La Chiesa non vive separata dal suo tempo e dal suo mondo. Le difficoltà che l’uomo sperimenta oggi a vivere da uomo si ripercuotono nella difficoltà che il cristiano incontra a vivere da cristiano. Il mondo odierno vive della conquista della materia: anche se la scienza gli rivela che la sapienza e la potenza dell’ordine creato superano da ogni parte la capacità di previsione della ragione, l’uomo si trova però chiuso nella struttura mondana che egli si è costruito. L’uomo ha scoperto di poter conquistare la materia, di poterla rendere strumento della sua volontà: ciò gli ha tolto il senso di una superiore prudenza e ha fatto della conquista del mondo il saccheggio del mondo, la perdita della realtà umana più profonda: lo spirito. La spirito è pietra angolare dell’uomo e del mondo: pure esso è la pietra che i costruttori della nostra società presente hanno voluto dimenticare e respingere. Siamo giunti così in un mondo in cui la persona umana non ha valore perché l’uomo non ha più significato, e non è più considerato l‘immagine di Dio. Quando gli uomini fecero le loro prime scoperte, vi fu un senso di superbia e di assoluto predominio dell’uomo sul mondo: è ciò che ci viene narrato nel racconto della torre di Babele, una visione profonda della dialettica della civiltà. Dio confuse allora le lingue. Ma oggi le menti stesse degli uomini sono confuse. L’ora del massimo della potenza è l’ora oscura, in cui la sapienza mondana non sa che prefigurare la crisi definitiva dell’umanità. Ma i cristiani sono figli della speranza. 

RENOVATIO — Ogni realtà mondana è giustificata da quelle che san Paolo chiama le filosofie di questo mondo. Quali sono le filosofie dell’attuale potere mondano? 

SIRI — La prima e fondamentale dottrina del potere di questo mondo è l’affermazione: non c’è verità. Sant’Agostino diceva che la differenza tra la civitas mundi e la civitas Dei è che la prima ha mille opinioni, la seconda una sola verità. [...]

RENOVATIO — Possiamo dire che esiste una tecnica per sostituire alla verità l’opinione, per porre il gusto dell’opinabile al posto del desiderio del vero? 

SIRI — Tale tecnica esiste ed è collaudatissima: basta dare un’occhiata all’attuale pubblicistica religiosa, letteraria, filosofica. Si tratta di esprimere opinioni così cautamente formulate che non si possa capire qual è la tesi dell’autore: o meglio ancora: in modo che dottrine intellettualmente contraddittorie vengano giustapposte l’un l’altra, come se fossero tra di loro compatibili. Ritorniamo allo slogan della morte di Dio. Se si dicesse negazione di Dio, tutti capirebbero. Ma ci troviamo di fronte a un’operazione molto sofisticata, che vuol dare l’impressione di salvare la più distillata e preziosa quintessenza dell’idea di Dio pur nella sua «identificazione» con la realtà profonda dell’uomo. Prendiamo un’altra frase famosa: «Quando Dio vuole essere non Dio, l’uomo nasce». Cosa vuol dire questa frase di un leader massimo delle attuali opinioni teologiche? Rigorosamente parlando, nulla. Essa certo non vale l’espressione dell’uomo «immagine di Dio». Ma dà l’impressione di nascondere qualche misterioso segreto sui rapporti tra divino ed umano che la dottrina della creazione sembra tenere velato e inespresso. Abbiamo scelto esempi di livello sofisticato. Ma poi potremmo continuare con questa teologia piena di aria fritta. È una manipolazione del linguaggio in modo che si alluda ad eldoradi nascosti del pensiero invece di esprimere chiari e distinti concetti. [...]

RENOVATIO — V.E. ha detto altre volte del problema della salute mentale come di un problema dell’uomo d’oggi. 

SIRI — Certo: perché il disordine dello spirito diviene immediatamente il disordine della psiche e dei nervi. È curioso che a tanto materialismo corrisponda una singolare indisponibilità a valutare le conseguenze neurologiche del disordine spirituale. Proprio della parte più nobile dell’uomo è di risentire per primo che le tenebre sono la morte, sono la decadenza della vita. Sarebbe curioso cercare le ragioni che inducono a dimenticare le precise statistiche, nei Paesi che le fanno, sulle dimensioni della crisi mentale. Non è questa la civiltà del tranquillante e dello psichiatra? Non si vuole riconoscere il rapporto tra disordine spirituale e disordine psichico e nervoso. Perché? Forse in nome del materialismo? No: vi è piuttosto qui la congiura del silenzio verso un problema imbarazzante. 

[...]

RENOVATIO — Ma la Chiesa parla oggi all’uomo della croce che è vita e liberta? 

SIRI — La Chiesa, sì: se qualcuno si avvicina ai beni divini che la Chiesa indefettibilmente custodisce, trova parole di vita eterna. Ma tanti cristiani sono coinvolti nella crisi stessa dell’umanità, sono portati ad adorare anch’essi l’idolo dell’uomo senza profondità: da destra e da sinistra, in nome del benessere o in quello della rivoluzione. Nella nostra stessa vita ecclesiastica si lamentano talvolta fenomeni paralleli a quelli della vita sociale nel suo complesso. La dittatura dell’opinione in cui viviamo si ripercuote anche nella vita ecclesiastica. Un’editoria pronta soltanto a sollecitare il fantastico, l’inaudito, l’irreale, a criticare il passato perché passato e a prevedere un futuro di sole luci, di totali vittorie dell’umanità, obbedendo in ciò alla legge della imposizione del prodotto, della ricerca del consumatore, cioè a motivi di lucro, è oggi una delle piaghe anche nella Chiesa. Oggi, ogni teologo che passi per iconoclasta, liberatore, innovatore, è subito captato da un’editoria compiacente, che diffonde per tutti i canali dei mezzi di massa questo dissenso confortevole, questa iconoclastia per amor del comodo e del successo. Il divismo di teologi, di scrittori, di figure della protesta: ecco un dolore, una sofferenza per la Chiesa di oggi: coloro che denigrano il passato della Chiesa per affermare che è proprio dal rinnegamento di esso che la Chiesa riemergerà più autentica. 

RENOVATIO — Per qualificare il tipo di errori oggi correnti si è ricorso a due paragoni: al modernismo e alla gnosi. Si è parlato anche di «protestantizzazione». «Renovatio» ha preferito il termine gnosi per indicare la separazione delle verità naturali (e veterotestamentarie) da quelle evangeliche. Il dire, per esempio, che non esiste legge naturale, che i limiti e le pene che l’ordine presente impone non risalgono a Dio, il negare la pena e la sanzione divina al peccato umano sono tesi che oggi costituiscono il sottofondo, sempre più esplicitamente espresso, di tanta letteratura teologica. Ciò ci pare una nuova gnosi. 

SIRI — Comprendo benissimo le ragioni di questa espressione: e credo che si possa legittimamente qualificare di gnosi il complesso di errori oggi ricorrenti visti nella loro sistematicità. Ma credete voi che i più sappiano il significato di quello che dicono? Questo è il terribile: che non sanno quello che dicono. Ciò che viene scelto spesso lo è non per un motivo razionale (sarebbe ancora una affermazione di verità), ma unicamente per conformismo al mondo. La potenza mondana ha una sua filosofia: e i teologi del giorno che passa accettano di tradurre le opinioni del tempo in linguaggio teologico, non perché accettino una dottrina come tale, ma soltanto perché accettano le dottrine che piacciono alle potenze di questo mondo. La gravità di questo tempo rispetto agli altri è questo: che non si tratta più di contrasto tra verità ed errore, ma tra verità e non verità, tra ordine della verità e dittatura dell’opinione. Gli uomini si ritengono liberi: è questa loro opinione, di essere liberi perché è scritto nei testi giuridici, il massimo momento e manifestazione della loro servitù. In realtà molti vivono sotto una dittatura: la dittatura dell’opinione. 

RENOVATIO — Anche la Chiesa è sotto una dittatura dell’opinione? 

SIRI — La Chiesa, no; ma molti che sono nella Chiesa, sì. La Chiesa non può mai essere violentata nella sua libertà senza che lo Spirito Santo susciti potenti reazioni. A un livello notevolmente diverso e più particolare, possiamo considerare i pontificati diversi e talvolta reattivi tra di loro. Nella diversità, Dio fa l’unità. La bufera che si scatenò attorno al Concilio non fu voluta da papa Giovanni, che ne soffrì profondamente; ne sono personale testimone. [...]

RENOVATIO — Possiamo riassumere così la visione che V.E. ha della crisi della società umana cosi come della presente situazione ecclesiale: vi è una realtà umana che i mezzi di comunicazione di massa non dominano, vi è una vita cristiana che la dottrina dell’opinione non corrompe? 

SIRI — La realtà che conta è sempre la realtà profonda, quella che la dittatura dell’opinione nega perché non riesce ad afferrarla. La presente situazione della Chiesa è una delle più gravi della sua storia, perché questa volta non è la persecuzione esteriore a impugnarla, ma la perversione dall’interno. Più grave. Ma le porte dell’inferno non prevarranno. 

RENOVATIO — Tuttavia vi sono mezzi e provvedimenti che possono essere oggetto di desiderio dei fedeli: può indicarne V.E. eventualmente qualcuno? 

SIRI — La cosa più urgente è restaurare nella Chiesa la distinzione tra verità ed errore. Talvolta sembra riecheggiare come dominante il dibattito teologico la domanda di Pilato: che cos’è la verità? Occorrono atti che sfatino la legittimità della dittatura dell’opinione, questo terribile potere di fatto che limita e coarta il potere di diritto. Siamo al punto in cui qualunque esercizio dell’autorità ecclesiastica e considerato abuso nei confronti della libertà. Come se l’autorità fosse la negazione della libertà! Mille poteri illegittimi coartano ben più gravemente e ben più sistematicamente la coscienza e la libertà delle persone sul piano immediato, mentre sul piano più profondo le separano dalla verità, espressa nelle fonti della Rivelazione e nel Magistero. lo spero che le giuste e autorevoli distinzioni verranno.

RENOVATIO — Quando si parla di un ritorno ad una condanna formale di proposizioni, si dice che ciò non è conforme alla natura pastorale dell’autorità nella Chiesa. E si dice anche che ciò potrebbe dar luogo a scismi. 

SIRI — La pastorale non è l’arte del compromesso e del cedimento: è l’arte della cura delle anime nella verità. Quando questo è stato detto tutti hanno capito: anche, e soprattutto, quelli che hanno deformato o criticato. Il linguaggio del buon pastore è all’opposto di quello che dicono alcuni teologi del momento. Non credo a possibilità scismatiche. Coloro che usano della loro funzione ecclesiastica per sovvertire la Chiesa contano, in realtà, innanzi agli occhi del mondo solo perché esiste quella Chiesa che essi intendono demolire in nome della «Chiesa futura umanità». Poi ci sono tanti segni, soprattutto fuori d’Europa, che indicano che i demolitori della Chiesa hanno fatto il loro tempo. [...]

RENOVATIO — La liturgia stessa è oggi oggetto di contestazione e di negazione: basti pensare alla underground Church, alla messa senza paramenti, a vari aspetti che tendono a diminuire il carattere sacrale e sacrificale del culto cristiano. Sacro e sacrificio sono parole esorcizzate da molti. 

SIRI — Vi sono questi aspetti più gravi, che sono la conseguenza, sul piano liturgico, di radicali errori dottrinali. Si faccia della liturgia, ma della liturgia non si facciano deformazioni abusive. Oggi si rivelano pericolose perdite nell’essenziale. Il sacro non è soltanto il rito: è la presenza nel rito della realtà significata. Quando si mitizza il rito, si perde il senso della sostanza che contiene. Non ci si meravigli poi che l’Eucarestia divenga per taluni una semplice festa dell’unità umana, in cui Dio è semplicemente spettatore. Qui, siamo non alla eresia, ma alla apostasia. 

[...]

RENOVATIO — V.E. vede segni autentici di un rinnovamento della Chiesa? 

SIRI — Noi siamo in un tempo di prova: e nei tempi di prova è più facile vedere la tenebra che la luce. Ma la luce è presente: la potenza stessa della tenebra è un mezzo di purificazione perché siamo fatti più capaci di vedere la luce. Le tenebre non possono vincerla. Noi sappiamo che il Signore conduce le cose in bene: ed usa le sofferenze e gli stessi peccati degli uomini perché ne risulti un bene più grande. Quando cento anni fa cadde il potere temporale, il Papa sembrò prigioniero. «La fine del papato», strillavano i modesti mezzi di comunicazione sociale d’allora. Stava invece per cominciare una grande stagione del papato. E la stessa perdita del potere temporale vi contribuì. Non che noi dobbiamo salutare i politici di allora come dei liberatori della Chiesa: è che Dio usa delle opere di tutti per il bene del suo popolo, che è il bene di tutta l’umanità. Sarà così anche domani: delle nostre difficoltà, si considererà soltanto la luce. La nostra umana debolezza, l’isolamento, il senso di sconfitta apparirà cambiato dalla potenza di Dio, in segno della gloria della sua città. È nella luce della croce del Signore che la notte diviene luminosa. Non sono un pessimista, solo rilevo che il tempo si è fatto scuro perché l’ombra del culto delle cose materiali si stende sul mondo. Ho sempre notato che in genere gli errori teologici derivano da inquinamenti marxisti. È una storia lunga. Ma finora non ho trovato sulla mia strada uomini così puri nella fede come quelli che hanno esperimentato nella vita quella teoria. Sono stati vaccinati.

Pensiero del giorno

Dio si compiace soprattutto dei cuori semplici e caritatevoli.


(San Francesco di Sales)

martedì 12 agosto 2025

Offrire a Dio il Santo Sacrificio della Messa

Dagli scritti di Don Giulio Barberis (1847 - 1927), seguace e collaboratore di San Giovanni Bosco.


Questo unico sacrificio della nuova legge racchiude in sè tutti i sacrifici della legge antica, e da solo procura alla SS. Trinità maggior gloria ed onore, che non tutti insieme i sacrifici dell’antico patto. Nella legge mosaica si offerivano quattro sorta di sacrifizi: l’olocausto, per riconoscere il supremo potere di Dio sulle creature, ed onorare la sua divina maestà e celebrare la sua infinita bontà: e questi si dicevano sacrifici latreutici; i sacrifici eucaristici, o di ringraziamento, in riconoscenza dei benefici ricevuti; i sacrifizi espiatori o propiziatori, per l’espiazione dei peccati degli uomini, propiziandoci così il Signore prima sdegnato per le nostre colpe; ed i sacrifici pacifici od impetratori, stabiliti per domandare ed ottenere le grazie necessarie onde camminare nella via della giustizia. Il sacrifizio della Messa da solo produce questi quattro medesimi effetti, e li produce in un modo infinitamente più perfetto, essendo stato istituito ed offerto da Gesù Cristo per questi medesimi fini, cioè per onorare la suprema maestà di Dio, per ringraziarlo dei suoi favori, per riparare le ingiurie che gli son fatte dal peccato, e per ottenere da lui tutte le grazie di cui l’uomo ha bisogno. È pertanto necessario assistere al santo sacrificio della Messa con gran rispetto e raccoglimento e divozione, se si vogliono da essa ricavare i frutti che può recare, pensando che è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che immola se stesso sull’altare per le mani del sacerdote, come fu immolato sul Calvario per le mani dei carnefici; è la medesima vittima e il medesimo sacrificatore principale.

Gesù Cristo sacerdote offerente.

Conviene che tu noti bene ciò che dissi qui sopra, che il primario e vero offerente di questo santo sacrifizio è Gesù Cristo medesimo: non è il sacerdote, non è il vescovo, neppure il Papa. Non volle Gesù che il sacrificatore fosse un angelo, neppure che fosse la stessa sua madre santissima; volle essere egli medesimo, prete dei preti, vescovo dei vescovi, Figlio unico di Dio, sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech. È lui che dà alla santa Messa la sua eccellenza incomparabile. I sacerdoti non ne sono che i servitori. Essi imprestano a Gesù, direi così, la loro bocca, la loro voce, le loro mani per l’esecuzione del divin sacrifizio, ma il sacrificatore è Gesù medesimo. Il dolce Salvatore si degna di farsi nostro sacerdote, nostro medico, nostro avvocato! [...]

Valore della Messa.

Segue da ciò, che ogni Messa è d’un valore che ha dell’infinito, ed è celebrata da Gesù Cristo stesso con una divozione, un rispetto, un amore al disopra di quello che possono comprendere gli angeli e gli uomini. Noi pertanto non possiamo comprendere tutta l’eccellenza del sacrifizio dell’altare. Oh Gesù! Quale incomprensibile mistero, e quale fortuna per noi, poveri peccatori, di essere ammessi ad assistere alla santa Messa e di potercene appropriare i frutti! Considera attentamente, o mio buon figliuolo, il vantaggio che te ne proviene dal poter assistere a così santo sacrificio. Nostro Signore si offre per te; egli si fa mediatore tra la tua colpabilità e la giustizia divina; egli trattiene i castighi che ogni giorno meriterebbero i tuoi peccati. Oh! se aprissi bene gli occhi a questa verità, quanto ameresti la santa Messa! Come sospireresti la fortuna di potervi assistere, come l’ascolteresti devotamente, come soffriresti ogni qualvolta fossi impossibilitato di assistervi! Quanto anzi desidereresti di poterne ascoltare varie ogni giorno!

Altri offerenti.

L’essere Gesù Cristo medesimo in persona il vero sacrificatore e principale sacerdote della Messa, non toglie nulla di dignità ai sacerdoti terreni di cui egli vuole materialmente servirsi. Sono essi con ciò elevati a rappresentare Gesù Cristo medesimo, tengono le veci di Gesù ed agiscono in nome di Gesù. Essi sono i ministri, gli strumenti che gli prestano le loro mani e la loro voce. Ma bisogna ancora sapere che in terzo luogo sono offerenti del sacrifizio anche quelli che partecipano alla santa Messa, poiché tutti i fedeli in unione di Gesù e del sacerdote hanno il potere di offrire il santo sacrificio. Inoltre vanno notati come offerenti, e perciò il valore della Messa è applicato primieramente a loro, quelli che somministrano la limosina per farla celebrare; quelli che procurano l’apparato necessario per il sacrificio; ed infine tutti coloro, che impediti dalle loro occupazioni non potendo assistervi corporalmente, vi si uniscono con l’intenzione. Tutti costoro offrono la vittima divina e partecipano al frutto dell’offerta.

L’offrire la Messa è privilegio di tutti.

Tengo per certo che una delle più eccellenti grazie che Dio abbia accordate a tutti i fedeli, senza distinzione di sesso, d’età o di stato, sia questa: che non abbia concesso ai sacerdoti soltanto, ma altresì a tutti gli uomini di poter offrire a sua divina maestà questo augusto sacrificio. È per questo che l’apostolo San Pietro proclamò i fedeli stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di acquisto, affinchè esaltino le virtù di colui che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce. Gesù ti dà il diritto di offerire questo sacrificio non solo per te, ma a modo dei sacerdoti anche per gli altri, cioè per coloro, chiunque essi siano, per cui l’offri. E questo è certo, poiché nel canone della Messa il sacerdote dice espressamente non essere il sacerdote solo che offre il sacrifizio, ma essere tutti i circostanti. E nell’Orate fratres il sacerdote, voltandosi ai fedeli, aggiunge: « Affinchè il mio e vostro sacrificio sia accettevole presso Dio Padre onnipotente ». E dopo l’elevazione del calice il sacerdote ripete che non è egli solo, ma unito al popolo che offerisce alla sovrana maestà, un sacrificio puro, santo ed immacolato. Bisogna pertanto che chi assiste al santo sacrificio, o colle parole o almeno con l’intenzione, si unisca al sacerdote, onde partecipare più abbondantemente del frutto del sacrificio. Che privilegio hai tu sebbene non sacerdote, di poter offrire così facilmente il corpo ed il sangue del Salvatore! Oh! approfitta di questo potere! Esercita tutti i giorni quel sacerdozio di cui la misericordia di Dio ti ha investito, e pensa proprio ad unirti spiritualmente al sacerdote, e ad offerire con lui il divin sacrificio. Senza questo non sentiresti bene la Messa; perchè ascoltare la Messa non è solamente esser presente materialmente, è offerire il sacrificio in unione col sacerdote.


[Brano tratto da "Il Vade mecum dei giovani salesiani" di Don Giulio Barberis, SEI, Imprimatur: Taurini, die 18 julii 1931, Can. p. Franciscus Paleari].

Pensiero del giorno

Diceva la ven. Beatrice dell'Incarnazione, prima figlia di s. Teresa: Non vi è prezzo con cui possa pagarsi qualunque cosa benché minima fatta per Dio. E con ragione ciò diceva, perché tutte le opere fatte per Dio sono atti d'amor divino. La purità d'intenzione fa diventar preziose le azioni più basse, il mangiare, il lavorare, anche il ricrearsi, quando tutto si fa per ubbidienza e per dar gusto a Dio.


(Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa)

lunedì 11 agosto 2025

La cremazione

[Brano tratto da “Tesoro di racconti istruttivi ed edificanti”, di Don Antonio Zaccaria, Tipografia Pontificia Mareggiani, 1887].


L'uso barbaro della cremazione dei cadaveri è sempre stato contrario al sentimento religioso, alla civiltà e alla giustizia punitrice. Ora che il moderno liberalismo massonico tenta di introdurlo fra noi, non sarà fuor d’opera sentirne la descrizione, come ci viene data da Dario Papa, direttore dell'Italia del Popolo, Giornale non sospetto di clericalismo. «Erano le 7 del mattino, egli dice, ed il Cimitero monumentale di Milano era deserto; venivamo dalla città, dove già fremeva la vita operosa del mattino, e il trovarci ad un tratto in mezzo a tutte quelle croci, alle lapidi, ai monumenti e cipressi dal verde cupo, uniforme, sempre vivo, dove nulla si muoveva, dove la vita era apparentemente in un periodo di arresto, ci fece una impressione strana, penosa. «Percorremmo tutto lungo il viale che conduce al tempietto crematorio .... entrammo. Il cadavere di una povera donna vi si trovava fin dalla sera prima; era chiuso in un cofano tutto nero a fregi d'argento, ed era solo. «In un camerino accanto, un vecchio fossore accatastava fascine, masticando un mozzicone di sigaro. Dopo qualche tempo vennero i due medici che dovevano dirigere l'operazione e qualche parente della povera morta. I medici avevano fretta, impartivano i loro brevi ordini con voce bassa e i becchini eseguivano. «Noi spettatori, aggruppati in un canto, colpiti da quella scena nuova, strana, attendevamo in silenzio. Il medico fece un cenno: quattro becchini salirono sui cavalletti, sui quali era posto il cofano e ne fecero saltare il coperchio; un puzzo nauseante si sprigionò, ed un brivido corse fra noi che assistevamo. «La morta era tutta vestita di bianco; con filo di ferro le vennero legate strette attorno al corpo le sottane, furono fatte passare tre larghe cinghie, sotto il busto, le anche, le gambe; i becchini, attesero. «È pronto? chiese forte uno dei medici. Sì, gli venne risposto dall'altra cameretta del forno. Giù! disse il medico. «Il cadavere venne sollevato colle cinghie, tolto dal cofano e posato su una barella. La testa penzoloni batté sul legno e giacque di sbieco. Noi guardammo cogli occhi fissi, sbarrati, col respiro sospeso, stretti l'uno all'altro; dal lato inferiore della bocca del forno venne fuori una lastra di metallo e su di essa venne collocato il cadavere; la lastra rapidamente rientrò, la bocca fu chiusa ed il medico scoprendo un occhio di vetro incastrato nella parete, ci invitò a guardare. «Pochi osarono, due soli misero l'occhio al pertugio e tosto si ritrassero smorti. «Quando guardai io il cadavere era ignudo e nero, le fiamme lo avvolgevano da tutte le parti, gli arti avevano strane contorsioni e a volte tutto il corpo aveva come dei piccoli sobbalzi; un piede e tutta una gamba si torse in fuori, mentre già la cresta della tibia si delineava netta sotto il ginocchio. Poi il ventre si gonfiò lentamente; raggiunse un volume enorme, stette un poco e scoppiò facendosi ad un tratto flaccido e vizzo; il corpo si volse tutte su di un fianco. Mi tolsi di là che mi mancava il fiato e uscii fuori in cerca d'aria». Questa è la barbarie apportataci dalla moderna civiltà!

Pensiero del giorno

[Il prete] deve essere umile, ultimo di tutti, mansueto, buono, ma deve avere anche, e soprannaturalmente, il senso della sua dignità. Non può essere volgare, non può mostrarsi in luoghi indecorosi, non può partecipare a giochi che lo fanno disistimare. Un sacerdote che va nella bettola, che va a bere il vino in un pubblico locale, che va a caccia, [...] o anche che va semplicemente a conversare al caffè [...], non può raccogliere la fiducia del popolo, ed è responsabile del rilassamento della vita cristiana.


[Brano tratto da "Nei raggi della grandezza e della vita sacerdotale" di Dain Cohenel (pseudonimo di Don Dolindo Ruotolo)  edito nel 1940].

domenica 10 agosto 2025

Ecco perché Dio non sempre impedisce il male

Ogni tanto qualcuno domanda per quale motivo Dio non ha impedito le grandi catastrofi come le guerre mondiali e le stragi.

Gli atei e i comunisti hanno una visione immanentista della vita, non credono nel soprannaturale, sperano di fondare in questo mondo una sorta di paradiso terrestre senza Dio. Invece i cattolici fedeli alla Tradizione hanno una visione soprannaturale della vita, sanno che l'uomo su questa Terra è solo di passaggio per breve tempo, e che il suo vero scopo è di salvarsi l'anima e di andare nella Patria celeste, ove non ci saranno più tribolazioni, ma solo gaudio eterno.

Dio, bene infinito, per sua natura è incapace di fare o desiderare il male. Essendo onnipotente ha il potere di impedire che nel mondo accadano dei crimini, tuttavia in molti casi non impedisce che vengano commessi perché desidera trarne un bene maggiore.

Dio è infinita sapienza, mentre noi siamo piccole creature al suo cospetto, pertanto non possiamo comprendere i suoi arcani decreti. Ecco perché quando vediamo che nel mondo vengono commessi molti crimini non sappiamo per quale motivo il Signore abbia tollerato che accadessero. Tuttavia con gli occhi della fede dobbiamo credere fermamente che Dio onnipotente non impedisce il male perché desidera trarne un bene più grande. Pensiamo ad esempio a una persona che perde il posto di lavoro ma pochi giorni dopo riesce a trovarne un altro più gratificante e meglio retribuito (vantaggio materiale), oppure riesce a trovarne un altro in cui non c'è l'occasione prossima di peccato che in passato la faceva cadere spesso (vantaggio spirituale). Permettendo che perdesse il precedente posto di lavoro, il Signore ha ottenuto per quella persona un bene maggiore.

La Santissima Trinità è amore infinito, ma è anche giustizia infinita. Ognuno di noi ha delle imperfezioni più o meno gravi di cui emendarsi, e i castighi di Dio sono un potente mezzo di purificazione. Quanta gente si è convertita in seguito ad una grave malattia o a qualche altra sciagura! Ma Dio non “castiga” solo i peccatori che vuole convertire, ma anche i buoni per farli diventare ancora più santi. L'esempio classico da raccontare è la storia del Santo Giobbe, il quale pur essendo una persona pia e devota, tuttavia venne messa alla prova dal Signore, permettendo che venisse travagliato da una schiera di sciagure, tra cui lutti, furti, malattie, incomprensioni, ecc. Invece di bestemmiare Dio, pronunciò delle celebri parole di rassegnazione e sottomissione alla divina volontà. Dio non volle il male, per esempio che Giobbe subisse il furto delle greggi di animali, ma tollerò che ciò avvenisse poiché voleva trarne un bene maggiore. È troppo facile amare la Santissima Trinità quando tutto va bene, ma è nei momenti di difficoltà che si vede se una persona ama davvero il Signore. Giobbe rimase fedele e guadagnò enormi gradi di gloria per il Cielo. Un conto è salvarsi l'anima per un soffio, altro conto è salvarsi coi meriti di un Giobbe, di un San Francesco o di una Santa Teresa di Lisieux, i quali soffrirono molto su questa terra. Lo Spirito Santo nella lettera di San Paolo Apostolo agli ebrei (capitolo 12, versetto 6) afferma: “Quem enim diligit Dominus castigat”. È proprio così, Dio corregge e purifica con le tribolazioni coloro che ama e che vuole salvare.

La vita terrena è solo una prova in attesa di entrare nell'eternità: infelice nell'inferno, felice in paradiso. Coloro che durante la vita in questo mondo hanno sopportato con pazienza cristiana le persecuzioni, le ingiustizie, le tribolazioni, le malattie, ecc., trascorreranno il resto dell'eternità nella gioia, godendo la visione beatifica della Santissima Trinità.

A coloro che desiderano approfondire questo importante argomento, consiglio di leggere “Uniformità alla volontà di Dio”, di Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa.